Analisi e commento de “La cavalla storna” di Giovanni Pascoli.

Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non tocco’ mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla».
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia . . . »
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dove’ pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbraccio’ su la criniera.
« O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.

Schema metrico: 31 distici di endecasillabi a rima baciata.

Alla torre, nella stalla, la madre del Pascoli interroga la cavalla che riportò a casa il padrone assassinato: le dice all’orecchio il nome dell’omicida; la cavalla conferma con un nitrito. E’ la trama di questa lirica, a lungo celebre, per la pietà compartecipe attirata dal Pascoli sulla sua tragedia domestica: poi riguardata con sospetto, quando una nuova dimensione di lettura privilegiò altri modi della sua poesia. Eppure essa è degna di attenzione, perché contiene entro una linea severa l’emozione, configura la vicenda sul modello dell’epos classico e definisce una nuova forma di percezione del reale. Considereremo i tre aspetti separatamente.
a)dominio dell’emozione: non vi sono sbavature sentimentali; il patibos evita lo sfogo soggettivo, è calato nell’evento. Si parte, all’inizio, come spesso nella lirica pascoliana, da un suono, mormorio, sussurro che appare come premessa a una rivelazione arcana che verrà dalla natura. Poi si snodano i discorsi della madre, tutti di dieci versi, in un crescendo emotivo. Fra l’uno e l’altro, la figura emblematica del demone – animale è caratterizzata da un distico che ne sottolinea il contatto sempre più intimo con la madre. Infine altri sei versi annunciano il responso oracolare, che assume il carattere d’un “giudizio di Dio”.
b)il modello epico: tale struttura instaura un tipo di rappresentazione epica, evidente anche nel metro prescelto, che rende il discorso della madre come un rituale. L’episodio, poi, richiama il pianto dei cavalli d’Achille per la morte di Patroclo e il discorso d’uno di essi per distogliere Achille dal riprendere la guerra: due passi tradotti, suggestivamente dal Pascoli.
c) la nuova percezione del reale: la rivelazione nasce qui dalla natura, passando dal sussurro al nitrito alto nel silenzio, alla sentenza oracolare: uno delle voci dell’ignoto che giungono dalla e nella campagna; una voce che diviene spontanea metafora di percezioni e divinazioni della coscienza profonda: sicuro cammino verso la verità. Questo protendersi della natura verso la parola – rivelazione – poesia è un mito fondamentale della poesia pascoliana. Se anche, vigeva, in famiglia, la leggenda della cavalla storna, ciò che conta qui è il modo della rappresentazione che s’è, almeno in parte sottolineato; in esso il Pascoli definisce una propria originale visione della realtà e del linguaggio poetico. Il responso, acquisito in una forma immediata di percezione che si potrebbe definire magica, indica una tensione, conoscitiva ed esistenziale insieme, del poeta, un’attenzione nuova alle rivelazioni del poeta oscure, ma considerate autentiche, della psiche, come è, qui, il presentimento della madre. E’ insomma, significativo il fatto che la “leggenda” domestica a) sia sollevata a una cadenza di racconto epico, cioè, secondo il Pascoli, universale e di sempre, che consente una sublimazione dell’umile o del quotidiano, parificato al sublime “alto” e, con ciò, trasfigurato nella verità totale della poesia; b) che una certa struttura narrativa conferisca all’evento leggendario un carattere d’esemplarità, situandolo su un piano di realtà non episodica, ma per dir così, totale: più vera di quella che chiamiamo realtà ed è invece, per il Pascoli, banale contingenza. A proposito di questa e di altre liriche intorno alla tragedia domestica, egli diceva che certe cose non si inventano. In realtà, egli qui inventa proprio creando l’atmosfera di identificazione e consenso magico fra uomo e animale, conferendo una patente di verità assoluto alle “rivelazione” di questo, col ricingerla con alone sacrale che è, a ben vedere, invenzione della poesia: come lo è l’interpretazione di quel nitrito.

PARAFRASI

Nella Torre era già calata la notte. Si muovevano(per il vento) i Pioppi el Rio Salto. I cavalli normanni stavano ai loro posti, masticavano la biada facendo rumore. Là in fondo c’era la cavalla, selvaggia, nata fra i pini sulla salata spiaggia; che nella criniera aveva ancora gli spruzzi dell’acqua e le urla nelle orecchie(i rumori del mare).Sulla sua schiena mia madre aveva appoggiato il gomito e gli diceva a bassa voce:”O cavallina, cavallina storna che portavi colui che non c’è più(il marito ucciso), tu obbedivi ai suoi gesti e alle sue parole. Egli ha lasciato un figlio piccolo, il primo di otto, e non è mai andato a cavallo. Tu che corri veloce, tu obbedisci alla sua piccola mano. Tu hai nel cuore la vegetazione marina, dai retta alla sua voce bambina. La cavalla volse la sua testa magra verso mia madre che diceva sempre più a bassa voce:O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non c’è più, lo so che lo amavi veramente! Con lui in quell’istante c’eri solo tu e la morte. Tu che sei nata tra i boschi, le onde, il vento, nel tuo cuore spaventato, sentendo il laccio nella bocca che tiene il morso, corresti via. Con calma seguitasti per il tuo percorso perché morisse in pace. La magra lunga testa era accanto al dolce viso di mia madre che piangeva. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non c’è più..Oh! due cose egli avrà detto! E tu le hai capite, ma non le puoi dire. Tu con le briglie sciolte tra le zampe e negli occhi lo sparo, con negli orecchi l’eco del colpo, proseguivi la tua via tra i pioppi: lo riportavi a casa per il tramonto perché noi sentissimo quello che aveva da dire. Stava ferma con la testa alzata. Mia madre gli abbracciò il collo:”O cavallina, cavallina storna, riporta colui che non c’è più! A me, colui che mai più tornerà! Tu sei stata buona..ma non sai parlare! Tu non lo sai fare, poverina; altri che potrebbero non osano parlare. Oh! Ma tu devi dirmi una cosa! Tu l’ hai visto l’uomo che l’ ha ucciso, lui è ancora nei tuoi occhi. Chi è stato! Ti dico un nome. E tu fammi un cenno. Dio T’insegni a farlo. Ora i cavalli non mangiavano: dormivano sognando la strada (il tragitto percorso in giornata), non calpestavano la paglia: dormivano sognando il rumore delle ruote. Mia madre alzò nella notte un dito e disse un nome..Risuonò un forte nitrito.

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