Eugenio Montale “Spesso il male di vivere….”: commento e parafrasi. (Da Ossi di Seppia)

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

PARAFRASI
3. L’incartorciarsi: il poeta non vede la foglia già arida, ma il suo inaridirsi, che dà il senso d’un muto e lacerante tormento.
5-6. il prodigio…. Indifferenza: la condizione mirabile ma inconsueta che possiamo attingere mediante l’indifferenza. Il poeta la chiama divina perché essa non rappresenta, per lui, quella che comunemente chiamiamo insensibilità, ma un puro essere, fuori dallo spazio e del tempo, in un’eternità e pienezza immobile di vita.
7-8. le immagini della divina Indifferenza hanno una forte carica suggestiva, soprattutto quella del falco, immobile nell’alto del cielo prima di calare, segno d’una potenza intatta e non ancora contaminata di vita. Più convenzionale e decadentistica, anche se sempre suggestiva, quella della statua che s’erge immota nel meriggio sonnolento e inerte.

Breve commento al Testo

Se un’esperienza certa può compiere l’uomo in questo universo d’evanescenti parvenze, è quella del vivere come male. Il dolore, la sofferenza di tutti gli esseri sono una realtà oggettiva, che possiamo constatare nella vita della natura, incontrare ogni giorno: un ruscello impedito nel suo libero fluire, un cavallo stramazzato, una foglia inaridita. Non esiste bene se non nell’indifferenza, in un puro esistere senza tempo, senza memoria, senza attesa, simile al dissolversi della morte.