Il dialetto campano: peculiarità linguistiche e stilistiche

Le caratteristiche tipiche dei dialetti campani si incontrano anche negli altri dialetti meridionali. Ma solo in Campania ricorrono alcuni fenomeni:
– Dittongo metafonetico
– Chiusura metafonetica
– Femminile plurale con rafforzamento sintattico
– Vitalità del genere neutro
– Variazione consonantica
– Suono indistinto finale

Con il nome di metafonesi si indica una particolare evoluzione delle vocali toniche. Le vocali che sono alla base del dialetto campano sono sette: i è e’ a ò o’ u
Per effetto della metafonesi, quando nella sillaba successiva o in quella finale si trovano –I oppure –U etimologica, le vocali aperte toniche –è- , -ò- dittongano in –ie- e in –uo-. Si parla in questo caso di dittongazione metafonetica.
Gli esempi sono presto fatti: mantiello, guagliunciello, paisiello, testiamiento , castiello
Il dittongo –uo- di origine metafonetica si incontra per esempio in queste parole: attuorno, buono, chiuovo, scuorno, uocchio, uosso, vruoccolo.

Quando invece la metafonesi colpisce le vocali chiuse é, o’, sempre per effetto di una –I oppure di una –U etimologica, si produce la chiusura metafonetica: la –e’- chiusa si chiude ulteriormente in –i-, mentre la –o’- chiusa si chiude ulteriormente in –u-.
Esempi di parole in cui incontriamo una chiusura -è->i- di origine metafonetica: acito, appiso, beneditto, capille, chillo, cìcere, pisce, sicco.

Incontriamo invece la chiusura o’>u, per esempio in queste altre parole: capitune, cetrulo, culure, cunto, curiuso, gravune, guaglione, munno, veziuso, zelluso.
Notiamo comunque che gli esiti metafonetici si realizzano quasi esclusivamente in nome e aggettivi di genere maschile.
Inoltre la funzione del dittongo e la chiusura di origine metafonetica permettono dunque di distinguere i maschili dai femminili e talvolta, il singolare dal plurale.
Le chiusure metafonetiche e i dittonghi metafonetici assumono una funzione morfologica anche nelle voci verbali. Nella flessione di un verbo, infatti, la vocale tonica si adegua per metafonia alla vocale della desinenza: porto [io porto] scéngo [io scendo] corro [io corro]; porta[egli porta] scénne [egli scende] corre [egli corre].
Tuttavia nella seconda persona che ha desinenza –i, si determinano le condizioni metafonetiche, per cui la seconda persona si distingue dalle altre: puorti [tu porti] scinni [tu scendi] curri[tu corri].

RAFFORZAMENTO SINTATTICO

Parliamo qui della pronuncia rafforzata delle consonanti iniziali. Questo fenomeno assume nei dialetti campani un’importante funziona morfologica, poiché si presenta nei femminili plurali e nei nomi di genere neutro.
Il rafforzamento sintattico non è noto ai dialetti settentrionali, ma accomuna i dialetti centri e quelli meridionali. Nei dialetti campani producono rafforzamento le seguenti forme:
– le congiunzioni e, né
– la negazione nu (non);
– le preposizioni a, cu, pe;
– gli indefiniti ogne, quacche;
– il che interrogativo
– accussì
– cchiù (più)
– tre
– l’articolo neutro ‘o
– il pronome neutro ‘o
– i pronomi maschili e femminili plurali: ‘e chiamm tu (li chiami tu)
– le forme verbali so’ (prima e sesta dell’indicativo di “essere”), si (seconda persona)
– la prima persona del verbo stare: sto (io sto), per cui si dice sto pparlanno

VARIAZIONE CONSONANTICA

Nel caso di alcuni consonanti la pronuncia in posizione forte è radicalmente diversa da quella in posizione debole. Questo fenomeno, noto come variazione consonantica. Per esempio se diciamo “nu cavallo janco” l’iniziale dell’aggettivo janco, che in questo caso è in posizione debole, è la semivocale j-. Se la stessa iniziale si trova in posizione forte, cioè in un contesto fonetico che provoca rafforzamento sintattico, viene invece pronunciata come –g- intensa: perciò diciamo “ ‘o cavallo è gghianco”.
La variazione consonantica colpisce anche altri fonemi. Il fonema dentale sonoro /d/ è pronunciato in posizione debole come [r], mentre in posizione forte è reso come [dd]. Perciò abbiamo in posizione debole caré; ‘e rient ; a rongo ; mentre in posizione forte tre ddiente; ‘e ddongo; nun ‘o ddicite;
il fonema /b/, in posizione debole è realizzato come [v]: “ ‘a vorza” ‘a vucchella”. In posizione forte invece si presenta come suono bilabile intenso [bb]: tre bborze; ‘e bbocche.

Il rafforzamento sintattico inoltre assume una funzione grammaticale, perché permette di distinguere i femminili plurali.
Nei femminili plurali la consonante iniziale è rafforzata non solo quando precede l’articolo, ma anche quando le forme sono precedute da aggettivi qualificativi o dimostrativi: “chelli ttre cammere” chelli ddoie prete” “chelli ppaure”.
Il rafforzamento sintattico permette perciò di trasferire sull’articolo e sulla parte iniziale delle parole quelle informazione morfologica che dovrebbe essere veicolata dalla desinenza e dalle vocali finali.

Il NEUTRO

In Campania ad esclusione di una fascia settentrionale della regione, oltre ai nomi di genere maschile e a quelli di genere femminile esistono i nomi di genere neutro. Alcuni nomi che nei dialetti sono neutri, sono o possono essere neutri anche in latino (latte, sale, ferro); in molti casi però, i nomi neutri del dialetto rappresentano delle innovazioni rispetto al latino e spesso sono neologismi più o meno recenti.
Sono neutri i nomi che designano materiali nel loro complesso : ‘o ffierro; i nomi che si riferiscono a generi alimentari o bevande sempre considerati come insieme o’ ccafe ; ‘o ggrano; i nomi dei colori ‘o rrusso; gli infiniti sostantivi ‘o ppenza; i nomi astratti che si riferiscono a categorie generali ‘o mmale, ‘o bbene.
Come notiamo i nomi neutri preceduti dall’articolo determinativo si presentano con la consonante iniziale rafforzata. Ciò accade secondo quanto afferma De Blasi (2006 p.36) “perché l’articolo determinativo che precede i nomi neutri anche se si presenta in apparenza identifico all’articolo maschile ‘o avrebbe in realtà un’altra origine etimologica, in quanto deriva dal latino ILLUD (mentre l’articolo maschile deriva da ILLUM). Alla motivazione di tipo fonetico e sintattico, si aggiunge una motivazione di tipo semantico, nel senso che sono trattati come etichette tutti quei nomi che vengono riconosciuti come “etichette” di un genere visto nel suo insieme”.
Tuttavia bisogna prestare attenzione nel riconoscere i nomi neutri all’interno dei contesti in cui sono pronunciati. Proviamo a fare ancora qualche esempio: ‘o ffuco (il fuoco) o’ ggesso (il gesso) ‘o llignamme (il legname) ‘o ssale(il sale) ‘o ttuosseco. All’interno di una frase l’appartenenza al genere neutro è svelata non solo dall’articolo, ma anche da un pronome personale ‘o, che essendo per l’appunto neutro e non maschile, provoca il rafforzamento della consonante che segue.
Un pronome neutro che provoca rafforzamento della consonante dimostra che anche “chilo” può essere trattato come neutro; molto probabilmente ciò che accade perché chilo è usato in combinazioni con nomi di generi alimentari come in “ che bellu chilo ‘e carne. Chesto ‘o ffacimmo a brodo”. Quest’ultimo esempio permette di riconoscere anche un’altra particolarità: i pronomi e gli aggettivi dimostrativi con valore di neutro, nei dialetti campani, non presentano esito metafonetico.
Altra caratteristica dell’area campana, in particolare di quella napoletana è l’indebolimento del suono finale atono, che viene articolato come suono centrale indistinto ё. Tale pronuncia indebolita si combina dunque, in una sorta di sostegno reciproco, con la funzione morfologica degli esiti metafonetici e del rafforzamento sintattico.
Ulteriori esiti fonetici frequenti sono ad esempio l’evoluzione dei nessi di consonante+L: in Campania da PLANTA si ha chianta , da CLAVE si ha chiave ; da BL- si ha la semivocale i- per cui BLANCU > janco; da FL- inoltre si ha la palatale affricativa [∫], per cui sciore da FLOREM. Da segnalare sono poi la frequente sonorizzazione dopo nasale: “cambagna” (campagna) ; “mondagna” (montagna); la pronuncia fricativa della s- prima della labiale e velare (∫battere; ∫pesso ; ∫frantummà), la conservazione della semivocale j- (iocà, iuorno, iettà) che in italiano diventa affricata palatale.
In generale questi sono i fenomeni più rilevanti del dialetto campano.

Analisi di dieci novelle del Decameron

INDICE

1.                      Struttura del Decameron

2.                      Sintesi e analisi della prima novella della prima giornata

3.                      Sintesi e analisi della nona novella della seconda giornata

4.                      Sintesi e analisi della prima novella della quarta giornata

5.                      Sintesi e analisi della quinta novella della quarta giornata

6.                      Sintesi e analisi della prima novella della quinta giornata

7.                      Sintesi e analisi della nona novella della quinta giornata

8.                      Sintesi e analisi della decima novella della sesta giornata

9.                      Sintesi e analisi della terza novella dell’ottava giornata

10.                  Sintesi e analisi della terza novella della nona giornata

11.                  Sintesi e analisi della decima novella dell’ultima giornata

1.                       Struttura del Decameron

Il Decamerone fu scritto probabilmente tra il 1349 e il 1351. In esso si narra la storia di sette donne e dieci uomini, che dovendo sfuggire alla peste che aveva colto  Firenze in quel periodo (e in tutta l’Italia), parliamo della famosa peste nera, decidono di fuggire in una villa fuori città ( si ritiene che fosse la villa di Fiesole) e per ammazzare il tempo, racconteranno a turno una novella ciascuno ogni giorno, per dieci giorni, per un totale di 100 novelle.

Sicché il Decameron è una raccolta  di 100 novelle, nella cui composizione assumono fondamentale importanza sia il Proemio, che la cornice.

In merito nel proemio il Boccaccio esplicita le motivazioni che l’hanno portato alla redazione dell’opera. Molto interessanti sono i motivi: un libro per chi è afflitto da pene d’amore, nell’intento di dare loro consigli utili. Bisogna ricordare che il lettore medievale era nel periodo medievale prevalentemente donna, sicché il romanzo sembra essere deliberatamente fatto per le donne. Ecco, la fortuna che è a loro mancata, può essere sopperita attraverso una lettura che le possa distrarle dalle angustie del vivere quotidiano.

Anche la cornice svolge una funzione fondamentale. Che cos’è la cornice? Tutto ciò che è al di fuori del mero racconto delle novelle, dai fatti delle novelle, quindi: la Firenze afflitta dalla peste; la descrizione stessa del contagio; il cambiamento di usi e costumi che è stato provocato dalla peste; alla descrizione dei fatti reali, si contrappongono i fatti delle novelle: i giovani grazie alle proprie forze saranno in grado di dare un ordine alle cose. Ed è proprio la cornice a dare una sorta di continuum che lega tra loro le varie novelle.

Le novelle hanno una forte vocazione narrativa, una forte vocazione al racconto breve. Sono cento come i canti della Divina Commedia. In questo periodo va distinta la novella di taglio episodico dalla novella di destino.

Ogni giornata in cui si raccontano le dieci novelle ha un tema, scelto dal re o dalla regina (i ragazzi o le ragazze): il tema della prima giornata è libero e ad introdurre la giornata è Panfilo.

Il tema della seconda giornata è quello delle avventure a lieto fine e la regina è Filomena (amante del canto, oppure colei che è amata).

Il tema della terza giornata introdotta dalla regina Nefile, si narra di chi ottiene o ritrova una cosa desiderata da tanto tempo. Qui si intrecciano vari temi: il tema della fortuna, quello della virtù dell’ingegno, la dialettica versus la fortuna.

Nella quarta giornata il tema è quello degli amori infelici, il re è Filostrato (vinto d’amore). E’ Boccaccio a introdurre la quarta giornata, risponde alle critiche dei suoi denigratori che lo accusano di occuparsi di argomenti futili, e Boccaccio risponde citando figure femminili reali. In questa giornata Boccaccio vuole spiegare la natura dell’istinto, come la potenza dell’eros sia predominante. Molto importante in questa giornata è la novelletta delle papere. Papere uguale a demoni. Si racconta la vita del mercante fiorentino Filippo Balducci. La novella si chiude con le considerazioni di Filippo Balducci sulla natura e sulla sua forza.

La quinta giornata è quella degli amori a lieto fine. La regina è Fiammetta. Vi è un meccanismo di ribaltamento tra la quarta e la quinta giornata. Si comincia con una tensione aspra e poi il clima si rasserena verso il lieto fine man mano che la giornata scorre. Il lieto fine nel Decameron bisogna conquistarselo attraverso una serie di avventure. C’è uno schema iniziatico: il fanciullo diventa uomo e acquista il potere a sposarsi.

Sesta giornata, è la giornata elogiativa dell’arte del saper ben parlare. Le novelle si svolgono interamente a Firenze e Certaldo. Viene qui celebrato lo spirito fiorentino. Memorabile è la novella di Frate Cipolla. E’ la giornata che apre il secondo gruppo di cinque. La regina è Elissa.

La settima giornata è aperta da Dioneo e si narra delle beffe fatte dalle donne ai loro mariti. Sono donne scontente per la loro condizione matrimoniale, vi è un inappagamento sessuale. La beffa consiste in un equilibrio a due, per poi passare ad un equilibrio triangolare. E’ la giornata delle beffe per amore o per salvamento, è la giornata dei falsi pudori.

Ottava giornata, regina Lauretta, si narra di qualunque tipo di beffa. Qui troviamo due novelle dedicate a Calandrino, personaggio alquanto buffo. L’excursus su Calandrino si snoda diciamo in quattro atti: due novelle nell’ottava giornata, e due novelle nella nona giornata.

La nona giornata è la giornata del tema libero come la prima; mentre la decima ed ultima giornata vede come re Panfilo, se i temi che vanno dalla seconda all’ottava giornata sono stati quelli della fortuna, dell’amore, dell’ingegno, nella decima giornata abbiamo novelle di magnanimità, quelle dei gesti splendidi, delle grandi rinunce. E’ la giornata della virtù per eccellenza. Le novelle quattro e cinque, trattano questioni già trattate nel “Filoloco” sua opera giovanile, sono una sorta di riepilogo.

La struttura del Decameron è molto simile a quella della commedia dantesca. Si tratta di cento novelle divise in tre grandi aree tematiche: fortuna, amore, ingegno più la liberalità. E’ una mappa di tutto il vivibile, la grammatica di tutto ciò che si può raccontare.

Boccaccio non si propone temi trascendentali, egli vuole far distrarre, cosicché apre alla narrativa realista occidentale, come nello stesso periodo Petrarca inventa la lirica, la poesia dell’io, dell’introspezione.

Riassumendo:

  nel Decameron si riassume una secolare tradizione di cultura cittadina e borghese che riflette non solo l’ascesa dell’intraprendente classe mercantile fiorentina, ma anche i più antichi ideali cavallereschi

  L’importanza della cornice è data dal fatto che nella contrapposizione alla versione di morte descritta nell’introduzione, essi designano il quadro di una vita che si ricostituisce con la gioiosa serenità della giovinezza e la comune fiducia in un’umanità ingentilita e riscattata dal dolore.

  Il Decameron è un grande repertorio di tipi e di situazioni, di burle, di motti, di trame romanzesche e quotidiane.

 

2.                       Prima giornata: Novella 1.

Abbiamo detto che il tema della prima giornata è libero e la regina è Pampinea.

La prima novella viene raccontata da Panfilo (il tutto amore). Panfilo racconterà spesso novelle ad alto contenuto erotico.

I protagonisti sono vari, innanzitutto viene presentato il personaggio di Musciatto Franzese, possidente mercante i cui titoli nobiliari li aveva avuti sotto la corte francese. Musciatto Franzese è un abile mercante, è uno che ci sa fare negli affari, uomo di vita vissuta, che è presente nel mondo mercantile e del commercio da una vita. Doveva riscuotere dei soldi in Borgogna. I borgognoni erano uomini di non buon carattere, talvolta sleali.

Messer Musciatto Franzese incarica Ser Cepparello di andare a riscuotere i suoi crediti in Borgogna. Ma chi era Ser Cepparello? I francesi lo chiamano Ser Ciappelletto storpiando il nome; l’uomo proviene da Prato. Era notaio che falsificava i documenti, talvolta diceva il falso per divertimento, aveva vinto moltissimi processi giurando il falso. Uomo senza scrupolo, scandaloso e malvagio, si racconta che fosse così malvagio che quando si trattava di assistere ad un omicidio egli andava di propria volontà senza mai negarlo, e ne provava un gran piacere. ‘Desiderava le donne come i cani desiderano le bastonate’ afferma Boccaccio. Amante del vino ed accanito giocatore, ancora Boccaccio chiude la descrizione con ‘era probabilmente solo il peggior uomo che fosse mai nato’.

E proprio Musciatto Franzese decise di affidargli la riscossione di questo credito, proprio in virtù del fatto che i borgognoni erano un popolo sleale, e Ser Cepparello era della stessa pasta, con le stesse ‘abilità’. Tra l’altro Ser Cepparello necessitava di soldi ed era senza lavoro, così accettò l’incarico.

Partì per la Borgogna e qui trovò alloggio in casa di due fratelli fiorentini, i quali manco a farlo apposta, erano degli usurai. In questo periodo di soggiorno Ser Cepparello fu colto da infermità, e nonostante le cure e la visite di medici onorevoli il notaio non guariva: i due usurai volevano liberarsi di Ser Cepparello e parlavano tra di loro nella stanza attigua a quello del notaio che senti tutto e disse ai fratelli fiorentini che nel momento in cui si fosse trovato in punto di morte, gli avrebbero dovuto chiamare il migliore frate della regione, garantendogli che avrebbe pensato lui ad aggiustare gli interessi suoi e loro.

I due fratelli seguirono il consiglio del notaio, e gli portarono al capezzale il miglior frate della regione.

Qui inizia una parte importantissima della novella: la confessione!

E con la confessione esce fuori Ser Ciappelletto il menzognere. Il notaio non si era mai confessato in tutta la sua vita, ma disse al frate che era solito confessarsi una volta a settimana, e che causa infermità non aveva potuto più confessarsi. Il frate iniziò a compiacersi dell’atteggiamento del notaio, in quanto ser Ciappelletto gli disse che ogni volta che si confessava voleva ricordare tutti i peccati di cui si era macchiato. In realtà era una scusa per confessarsi una volta per tutte. La confessione era un momento importantissimo nella vita di un cristiano. Cosi il frate gli chiese se avesse mai commesso peccati di lussuria con qualche donna, e il notaio gli disse che era vergine come se in quel momento fosse uscito dal corpo della madre. Poi gli chiese se avesse commesso peccati di gola, e ser Ciappelletto gli disse che ne aveva commesso di questi peccati, sebbene la religione gli imponesse di digiunare tre volte a settimane egli aveva bevuto e mangiato con piacere oltre il consentito. Ma il frate gli disse che non doveva preoccuparsi erano queste cose normali.

Gli chiese poi se avesse commesso peccati di avarizia, e Ser Ciappelletto abile menzognere disse al frate che il fatto che si trovasse nella casa di due usurai non voleva dire che era con loro coinvolto, ma che era in casa loro per redarguirli. Gli raccontò inoltre che tutti i beni da lui posseduti erano stati devoluti alla chiesa.

Il frate sempre più compiaciuto di quest’aurea di santità che il notaio mostrava, passò ad indagare nei suoi vecchi trascorsi, e Ser Ciappelletto gli disse che una volta aveva incassato più soldi di quanto gli spettavano, ma che poi aveva devoluto questa somma in beneficenza.

All’improvviso Ser Ciappelletto iniziò a piangere (continuando nella sua recita): non aveva confessato al frate il più grande peccato, cioè quello di aver offeso una volta sua madre, ma il frate lo rassicurò dicendogli che in questo caso il pentimento bastava; così lo assolse dai suoi peccati, considerandolo un uomo santo.

I due fratelli fiorentini avevano ascoltato tutta la confessione di ser ciappelletto e quasi gli scoppio da ridere, ma sentirono inoltre che Ser Cepparello ottenne che la sepoltura fosse avvenuta nella cappella dell’ordine religioso del frate.

La morte di Ser Ciappelletto avvenuta in tempi brevi dalla sua confessione, accellerò i processi di ‘beatificazione’. Si tenne la processione dove partecipò tutta la popolazione, e dove il notaio venne lodato come esempio di vita. Fu seppellito in una grande arca di marmo.

Da quel momento tutti lo lodarono, era diventato un santo, infatti lo chiamarono San Ciappelletto, addirittura arrivarono ad attribuirgli miracoli.

Perché è importante la confessione?

La confessione ci fa capire quanto in epoca medievale la religione contasse. L’espiazione dei peccati tramite la confessione equivaleva alla salvezza dell’anima, e quindi ad una vita nell’aldilà. Ser Ciappelletto non aveva esitato a mentire – uomo squallido qual’era – per guadagnarsi l’oltre vita. Boccaccio inoltre mette in scena attraverso una descrizione certosina la varietà dei caratteri umani, descrivendo con dovizia di particolari i vizi del notaio. Si mette in scena inoltre anche il mondo mercantile fatto di affari, commercio ed usurai.

Molto importante in questa novella inoltre è ciò che dice Panfilo. Egli spera che una volta udita questa novella ognuno dei protagonisti ne esca rafforzato in nome di Dio. E’ la grazia divina che permette di superare l’angustia del vivere quotidiano, le angosce e le difficoltà. Panfilo ci tiene a sottolineare che tutto ciò che ha provato a dire, sarà espresso attraverso la novella che narrerà.

 

3.                       Giornata seconda: Novella 9.

La seconda giornata cade di Giovedi, abbiamo come regina Filomena, e il tema sarà quello delle avventure a lieto fine.

Il lieto fine nel Decameron si conquista; dalla seconda alla quinta novella siamo nel bel mezzo della classe mercantile. Ad esempio il protagonista della quinta novella è Andreuccio da Perugia che sia cala in un sepolcro trovando un rubino da 500 fiorini. La novella sei è quella di Madonna Beritola, mentre la settima è quella di Alatiel figlia del sultano d Babilonia, portatrice di amore devastante. Sorta di divinità muta che porta amore e morte. L’ottava novella è la novella della falsa calunnia, dove il conte D’Anguersa, falsamente accusato, va in esilio e lascia i suoi due figli in diversi luoghi d’Inghilterra.

Tornado alla novella 9, alla base di questa novella vi è un motivo folklorico: si fa una scommessa sulle castità delle proprie mogli. Il Boccaccio adatta la novella al contesto mercantile. Fu una novella che piacque molto a Sheakspeare che infatti ne ricavò una storia.

Filomena la regina della giornata dichiara di rispettare gli accordi presi con Dioneo che chiede di narrare per ultimo, e dice di prendere spunto da un proverbio del tipo “chi la fa l’aspetti”. Prendete il mio racconto come un esempio per difendervi dagli ingannatori – dice – .

La nona novella inizia in un albergo parigino, ci sono molti mercanti italiani, siamo nel dopocena e tutto l’ambiente è rilassato….ma le mogli lasciate a casa non si consolano certo facendo le Penelope. Bernabò da Genova – uno dei protagonisti principali della novella – dice che sua moglie è una donna onestissima. Fa un ampio ritratto di lei, tessendone le lodi e mettendone in risalto la sua castità, inoltre dice che è donna efficiente e completa, abilissima nell’occupazione maschile. Ambrogiuolo di Piacenza (l’altro protagonista della scommessa. Il primo è Bernabo.) dissente delle parole di Bernabò, facendo discorsi generalistici che imputavano le mogli di poca fedeltà, mentre Bernabò ancora una volta cerca di difendere l’onore delle donne savie. Più la novella va avanti e più si assiste al duello verbale tra Bernabà e Ambrogiuolo. Bernabò passa dall’essere ‘turbatetto’ a ‘turbato’. Finché non decidono di scommettere sulla fedeltà delle loro mogli. Bernabà si gioca 5000 fiorini sulla fedeltà della moglie, Ambrogiuolo 1000 fiorini: Bernabò avrebbe sedotto la moglie di Ambrogiuolo donna Ginevra e gli avrebbe portato le prove del misfatto. In caso di perdita della scommessa avrebbe dato mille fiorini ad Ambrogiulo.

Ambrogiulo così si reco a Genova, trovò la casa della donna e con un abile inganno, riuscendo a stringere un patto con la domestica di donna Ginevra, riuscì a nascondersi in un baule nella stanza da letto della donna.

Qui ogni volta che la donna usciva dalla stanza, Ambrogiulo contemporaneamente usciva dal baule, e studiava la stanza nei minimi particolari, rubando talvolta degli indumenti….

In una delle sue ispezioni essendo donna Ginevra nella stanza, notò un giorno che la donna aveva un neo grande sotto la mammella sinistra.

Era una prova questa per dire a Bernabò che era stato con la moglie: Ambrogiulo per vincere la scommessa ricorrerà all’inganno. Trovato questo particolare ritorna a Parigi e racconta come a Bernabò il falso prima mostrandogli i vesti che aveva rubato nonché l’anello rubato, e poi svelandogli il particolare della mammella.

Qui diciamo si conclude il primo tempo della novella, o meglio la prima parte.

Bernabò va su tutte le furie, non riesce a sopportare un simile affronto, non riesce a sopportare che la moglie l’abbia tradita, vuole e deve vendicarsi di donna Ginevra. Nel frattempo Ginevra viene a sapere che è Bernabò è adirato con lei.

Bernabò allora decise di far uccidere la moglie da un amico, ma donna Ginevra raccontando tutto l’accaduto al amico nel momento di morte, riuscì a convincerlo a non ucciderla. Serviva ancora una volta un artifizio per far credere a Bernabò che lei fosse morta. Diede infatti all’amico del genovese i suoi vestiti, mentre lei scappò da Genova, e modificando i suoi tratti somatici, (un taglio di capelli molto corto, e il seno schiacciato nel vestito) si travestì da uomo e  s’imbarcò sulla nave del capitano catalano En Cararh, facendosi chiamare Sicuran de Finale. La nave in uno dei viaggi salpò al porto di Alessandria d’Egitto. Al sultano d’Alessandria piacque Sicurano, ricordiamo descritta dal marito Bernabò completa e abile nell’occupazione maschile, e cosi convinse il capitano En Cararh di farla rimanere alle sue dipendenze. Donna Ginevra sempre nelle vesti di Sicurano riusci ad acquistare la fiducia del sultano: era bravo nell’arte di curare e guardare i falconi (governare i falconi non era cosa semplice).

Il punto: Ambrogiuolo sa che la donna è morta. Bernabò sa che la moglie è morta. Ora è donna Ginevra ad avere in mano i fili del racconto.

Intanto Ambrogiuolo ormai preso dalla vita mercantile, ritorna al suo mestiere e per lavoro si trovò ad Alessandria d’Egitto. Venne notato da donna Ginevra (sempre Sicurano) che gli trovò indosso i suoi vestiti. Gli chiese come aveva fatto ad averli, ed Ambrogiulo gli raccontò ciò che aveva raccontato a Bernabò (cioè l’inganno). Sicurano disse di essere compiaciuto da questa storia e voleva che Ambrogiuolo raccontasse la storia al sultano; nello stesso tempo convocò anche Bernabò alla corte.

E qui che venne fuori tutto il misfatto, donna Ginevra fece minacciare Ambrogiuolo dal sultano: doveva raccontare tutta la verità e come si erano svolti i fatti davanti a Bernabò. Svelato l’arcano, donna Ginevra riuscì a discolparsi ritornando a vivere con Bernabò, Ambrogiulo fu legato da un palo, e non solo ucciso, ma divorato dagli animali.

Si possono fare alcuni commenti: innanzitutto nella novella si nota come il Boccaccio del Decameron non ha più bisogni di sforzi di retorica, cosi come gli era accaduto nel “Filoloco” (opera giovanile). Si tratta di una novella sfondo folkloristico, dove forte è la polemica antiveneziana. Ma soprattutto si può affermare come dice Filomena (regina della giornata) che effettivamente “l’ingannatore rimane ai piè dello ‘ngannato”.

 

 

4.                       Quarta giornata: Novella 1.

La quarta giornata ha come re Filostrato e cade di lunedi. Il tema è quello degli amori che sfociano in un infelice fine. E’ Boccaccio come abbiamo già ribadito ad introdurre la quarta giornata. E’ l’unico caso in cui interviene nel discorso, abbiamo già detto che risponde ai suoi denigratori che lo accusano di occuparsi di argomenti futili e lui risponde citando figure femminili reali, non però nella prima novella della quarta giornata dove i due protagonisti principali sono il principe di Salerno Tancredi, e sua figlia Ghismonda. Entrambi sono personaggi inventati.

Tancredi, sovrano umano e di buon carattere, durante tutto l’arco della sua vita rivolse tutto il suo amore per l’unica figlia Ghismonda. La figlia era molto legata al padre, ma necessitava di sposarsi.

Tancredi fu uomo di benigno ingegno che nella vecchiaia si macchiò di un empio delitto. La vita di Tancredi fu fortemente condizionata dall’amore per la figlia. Ghismonda era donna saggia, giovane e bella, e viene colpita dalla spiritualità di un giovane valletto che frequenta la corte del padre.

Ma non poteva chiedere al padre di sposarsi con questo valletto, cosi decise di averlo come amante: così nacque una forte passione e un forte innamoramento tra il valletto e Ghismonda.

Perché non rivelare la storia?

C’era un divario sociale immenso tra Ghismonda e Guiscardo (il valletto). E poi come comunicare con Guiscardo visto che la relazione era segreta? Ghismonda sceglie la strada dello scherzo dando una canna a Guiscardo e mettendo un bigliettino dentro la canna. Guiscardo prende la canna e il biglietto e finalmente si realizza il rapporto a due.

Dov’è la saggezza di Ghismonda? La saggezza fino a quel momento sta nell’essere riuscita ad evitare lo scandalo.

In questo senso nelle intenzioni di Boccaccio tutto doveva essere eccessivo, ed eccessivo è l’uso dei simbolismi, come del resto nel medioevo. Vi è una perfetta coincidenza del registro simbolico con le immagini del racconto.

Un giorno il principe Tancredi si addormentò nella stanza della figlia, che aveva dato appuntamento proprio quel giorno in camera sua a Guiscardo. Tancredi dormiva sullo sgabbello e con la testa appoggiata sul letto. E’ l’unico momento in cui la logica ferrea del Decameron decade. Ghismonda inizia a fare l’amore con Guiscardo, si udono sollazzi. Ghismonda e Guiscardo non si sono accorti della presenza del principe, presi dalla loro passione amorosa.

Qui dobbiamo rifermarci un attimo:

Boccaccio per arrivare al massimo della tragedia mette in scena il triangolo Tancredi-Ghismonda-Guiscardo.

I due amanti non si accorgono di lui, e la vendetta di Tancredi si consuma nel fatto che egli rimane immobile guardando tutta la scena.

Tancredi esce dalla stanza utilizzando la finestra, comportandosi come un amante per tenere segreta la cosa. Boccaccio dice che Tancredi aveva una scarica di adrenalina così forte che nonostante l’età riuscì ad arrampicarsi dalla finestra e fuggire.

In effetti Tancredi vedendo tutto l’amplesso si traumatizza.

Giorno seguente: Tancredi fa catturare Guiscardo, e gli chiede perché l’aveva umiliato in questo modo lui risposte con una frase ad effetto: “ Amor può troppo più che né voi né io possiamo”. Parentesi: con questa frase di apre anche la poetica stilnovistica dantesca.

L’arresto di Guiscardo deve rimanere segreto, Tancredi ammette alla figlia che ha visto l’amplesso. Pur essendo un debole di carattere egli gioca con il suo ruolo autoritario.

Il filologo Luigi Russo parla di Tancredi come una figura senza carattere, una figura non ben riuscita dal punto di vista della resa del dramma.

Da una parte abbiamo Tancredi preso da una forte crisi di pianto, dall’altra Ghismonda, che non ammette di essere rimproverata dal padre. Infatti rivolgendosi al padre dice che non ha fatto altro che assecondare il suo diritto naturale, senza vergogna, ma con tanta prudenza, senza recargli alcun danno.

Il principe gli risponde che aveva già deciso la sorte di Guiscardo, e di lei non sapeva che farsene.

Ghismonda pensava che suo padre aveva fatto già uccidere il suo amante, e cosi gli disse che lo amava e che lo avrebbe sempre amato, e che se lei aveva agito in questo modo era solo colpa di suo padre che, essendo ormai vecchio, non aveva pensato ai desideri che prova una giovane essendo anch’essa fatta di carne, e tra l’altro non si era preoccupata di farla sposare nuovamente.

Sul ragazzo invece disse che era più nobile d’animo lui di tutti i nobili presenti a corte.

Il padre fu molto colpito dalle parole della figlia, ma nonostante questo ordinò che Guiscardo fosse strangolato e che gli fosse portato il suo cuore.

Il giorno dopo Tancredi fece portare alla figlia una coppa d’oro (simbologia del Sacro Graal) con dentro il cuore del ragazzo con l’augurio che si potesse lei consolare con il cuore di colui che aveva amato di più. In questa scena si scorge il Tancredi sadico!

La ragazza per farsi beffa dell’ultima volta del padre, gli fece portare i propri ringraziamenti per aver seppellito il cuore di così nobile persona, nella maniera che più gli si addiceva, vale a dire nell’oro della coppa, e dopo aver salutato il cuore dell’amante si avvelenò.

Ghismonda muore per disperazione passando dalla follia al delirio per poi lasciarsi morire. Ed è normale lasciarsi morire in quel modo in ambito borghese.

Dopo un lungo pianto Tancredi li fece seppellire insieme.

 

5.                       Quarta giornata: Novella 5.

E’ la novella narrata da Filomena. Si narra di tre fratelli che vivono in quel di Messina. Sono questi mercanti di spessore, sono ricchi, abbienti, ma tuttò ciò che avevano l’avevano ereditato grazie alle fortune del padre.

Ancora una volta siamo di fronte ad un infelice fine, perché la sorella dei tre mercanti, tale Lisabetta si innamora di un giovane Lorenzo che lavora alle loro dipendenze. Ancora una volta un amore impossibile, di quelli che non si può fare. Non si tratta di un amore nobile come la novella precedente, non siamo a corte, ma siamo nella tanto biasimata classe mercantile descritta da Boccaccio.

Il misfatto: Lisabetta donna giovane, bella, la cui bellezza non sfiorisce una sera entra nella camera di Lorenzo, ma chi vi trova è uno dei suoi fratelli.

La reazione dei fratelli: colui il quale ha visto l’accaduto racconta tutto agli altri due fratelli e cosi decidono per mantenere la dignità e l’orgoglio della famiglia di far finta di niente. Il momento giusto per colpire si presenterà sicuramente.

Un giorno lo portano fuori città, in luogo isolato lo uccidono e poi lo seppelliscono.

Per giorni non si hanno più notizie di Lorenzo e Lisabetta inizia a preoccuparsi per l’assenza, chiedendo spiegazioni ai fratelli in quanto era con loro che Lorenzo lavorava. I fratelli le rispondono che è fuori per commissioni.

Ecco un topos ricorrente. La bellezza che sfiorisce in Lisabetta, che inizia a piangere perché non vede più il suo amante. Ma il colpo di scena sta nel fatto che la donna in sogno vede Lorenzo pallido, con i capelli arruffati, i vestiti in brandelli. Lorenzo le dice in sogno che è stato ucciso dai suoi fratelli nonché gli svela il posto dove è sepolto. Lisabetta si reca sul luogo della sepoltura si anima di coraggio e riesce a trovare il cadavere. Armata di coltello gli stacca la testa, e la mette in un vaso di basilico. Inizia a concimare, mentre i tre fratelli insospettendosi vedono che Lisabetta passa intere giornata prendendosi cura della pianta. Ciò che importa ai tre fratelli e che non sfiorisca la bellezza della sorella (topos medievale ricorrente) e lavorando con la pianta, la bellezza potrebbe sfiorire, così di nascosto gliela sottraggono.

Ennesima reazione di Lisabetta che questa volta non reagisce, ma si ammala, piange fino allo strenuo delle forze. I fratelli svuotano il contenuto del vaso, e trovano la testa di Lorenzo. Non sopportano ciò che hanno combinato. Si trasferiscono da Messina a Napoli, mentre Lisabetta muore dopo un’immane sofferenza.

Anche su questa novella alcuni commenti sono d’obbligo:

  Contro la religione, contro le convenzioni, contro schemi prestabiliti e bigotti, Boccaccio cerca di far capire che questo tipo di morale, porta all’annientamento dell’individuo.

  Boccaccio mette in scena la forza e la natura dell’istinto.

  La novella ricalca la struttura di quella che abbiamo riassunto precedentemente, ma le differenze sono evidenti: l’ambiente in Lisabetta è modesto-borghese o meglio forse mercantile, mentre nella prima novella è aristocratico ed elevato. Il carattere di Ghismunda è più libertino rispetto a quello di Lisabetta, infatti la prima sceglie la morte volontariamente, nell’altra invece tutto avviene come diretta conseguenza della sofferenza.

  Nella novella si trovano due mentalità: i fratelli che badano al nome della famiglia che potrebbe essere danneggiato dalla storia d’amore, e la mentalità di Lisabetta guidata dalla forza irresistibile dell’amore. Queste due logiche contrastanti tra loro, non potranno mai raggiungere un accordo, in questo vi è lo scontro principale della novella.

 

6.                       Quinta giornata: Novella 1.

Quinta giornata, cade di martedi, la regina è Fiammetta, il tema è quello degli amori a lieto fine.

Ricordiamo che il lieto fine nel Decameron bisogna conquistarselo, inoltre vi è un meccanismo di ribaltamento tra la quarta e la quinta giornata: si passa dagli amori con infelice fine a quelli con lieto fine.

Si è detto che quelli degli amori a lieto fine, sono i temi che Boccaccio preferisce, la potenza dell’amore e dell’eros,  l’istinto e la forza della natura, sono caratteristiche umane che il Boccaccio si prefigge di rappresentare e descrivere in questa novella.

E’ questa anche la giornata in cui vi è una delle novelle più belle di tutto il Decamerone, ovvero quella di Nastagio degli Onesti, così bella da essere rappresentata o meglio ancora illustrata da Sandro Botticelli su commissione di Lorenzo il Magnifico. Anche Nastagio degli Onesti per conquistarsi l’amore, il lieto fine deve passare per mille peripezie, l’amore per la figlia di Paolo Traversari è molto forte.

Tuttavia la novella di Cimone ed Efigenia, insieme a quella di Nastagio degli Onesti e di Federico degli Alberighi rappresentano un trittico in cui lo scopo è il medesimo: conquistare l’amore della loro amata. Certo le modalità con cui si arriva al lieto fine è diverso per tutte e tre le novelle.

Protagonista della prima novella è Cimone, figlio del ricco cipriota Aristippo. Cimone non è il massimo della brillantezza, è preso in giro dai suoi compaesani a causa del suo scarso intelletto e dei suoi modi bestiali.

Cimone è un rustico e come tale il mondo dei rustici gli appartiene. E’ un uomo selvaggio che viene mandato dal padre a lavorare in fattoria. Cimone non vive affatto la cosa come punizione.

Costui mandato a lavorare nei campi dal padre, un giorno vede scorge in un boschetto una donna che dorme sotto un albero. E’ questa Efigenia, bella, nobile e figlia di Cipseo.

Cimone alla sua vista, viene preso da una sorte di visione, iniziando a contemplarla, non la sveglia perché scorge in ella le sembianze di una dea. In quel momento Cimone conosce per la prima volta l’amore e la bellezza. Cossiché quando la donna si sveglia e trova Cimone estasiato, quasi si spaventa e cerca di sottrarsi alle lusinghe di lui, che ora vuole a tutti i costi conquistarla.

Va dal padre e dice di voler cambiare abbigliamento, riesce addirittura a modificare la voce.

Ecco il momento importantissimo, l’artifizio di Boccaccio. Boccaccio fa intraprendere a Cimone una vera e propria trasformazione: da ignorante diventa maestro di lettere e di filosofia, nonché campione di eleganza. Adirittura passa all’essere stratega nell’arte della guerra, fino a divenire corsaro. Si completa così la metamorfosi per virtù d’amore.

Ritornando ad Efigenia, la donna che rapito l’intelletto di Cimone, costei purtroppo per l’uomo è promessa in sposa al giovane Pasimunda dell’isola di Rodi.

Ancora una volta per modificare il corso degli eventi, il vinto d’amore, ormai pieno di sé, cosciente delle sue forze, deve e vuole ‘bloccare’ il matrimonio dei due.

Ecco come si era detto prima che Cimone diviene abile corsaro; prepara una nave e si spinge verso Rodi, dove un’altra nave stava trasportando Cimone ed Efigenia.

Cimone riesce a prendere Efigenia dalla nave, ma abile stratega pensa di non poter tornare subito a Cipro; dirigendosi a Creta, la sua nave va in balia d’una tempesta, e senza accorgersene i due arrivano sull’isola di Rodi. Riconosciuti e catturati vengono messi in galera. Ma il fato o la forza d’amore li aiuta: lo stesso giorno in cui si sposano Efigenia e Pasimunda, si sposa anche il fratello di quest’ultimo Ormisida, con Cassandra. Tuttavia di Cassandra è invaghito anche il governatore di Rodi Lisimaco che decide di chiedere consiglio proprio a Cimone.

Lo stratagemma: rapire entrambi le donne subito prima delle nozze. La cosa avviene non senza spargimento di sangue; lo stesso Ormisida viene ucciso da Cimone. La nave con le due donne rapite fa rotta verso Creta, per poi le due coppie ritornare in patria dove vivono felicemente la loro storia d’amore.

Ripartendo un po’ da questa novella: abbiamo un prologo dove si assiste al cambiamento di Cimone da uomo rozzo, mai interessato alle donne, si trasforma in uomo straordinario, cambiato dall’amore. In poche parole diviene uomo ‘savio’.

Con le due coppie in gioco nella novella si parla di “reduplicatio”. Boccaccio vuole dimostrare quanto bene faccia l’amore sull’uomo, ma nel contempo narra anche una novella d’avventura marinara. Il mare in questa novella è una componente importantissima: segna il passaggio da novella esemplare a novella d’avventura.

Molti studiosi hanno rilevato come si senta l’influsso del romanzo tardo alessandrino in questa novella.

 

7.                       Quinta giornata: Novella nove.

E’ la novella di Federigo degli Alberighi, che si innammora di una donna monna Giovanna, la più bella della Toscana, comunque sposata. Si tratta di una novella dolente, malinconica. Federico degli Alberighi sperpera tutto il suo patrimonio per questa donna, ma lei non lo segue, non lo degna di attenzioni, non lo attrae. Federigo si è rovinato per un’etica che non appartiene più alla realtà. Rendendosi conto di aver sperperato tutto si è reso conto che non può più vivere in città; non è uomo da mezze misure. Non ha più recriminazioni e quasi non ha più coscienza di quanto povero sia divenuto. La sua povertà è divenuta estrema, nonché è un uomo troppo orgoglioso per chiedere prestiti. Così si ritira in campagna.

Federigo era divenuto così povero da arrivare a possedere solo un falcone, certo uno dei migliori al mondo, più un piccolo podere che gli permetteva di sopravvivere.

Purtroppo prematuramente il marito di monna Giovanna morì e la donna con un figlio, si ritrovò sola, andando a trascorrere l’estate in una tenuta vicino a quella di Federigo.

Ennesimo ‘colpo di scena’: il figlio di monna Giovanna che intanto aveva stretto amicizia con Federigo grazie alla grande passione che aveva per i falconi, si ammala. Il ragazzo racconta alla madre che sarebbe guarito solo se avesse avuto il falcone di Federigo.

Monna Giovanna appresa la gravità della cosa, decise di raccontare tutto a Federigo, ma lo farà durante una colazione, che Federigo preparerà.

Federigo non avendo niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servì a tavola. Durante la colazione la donna le chiede il falcone all’uomo ma…Federigo scoppia in un pianto profondo spiegandole che glielo avrebbe donato volentieri, se non lo avessero mangiato proprio in quel momento.

Questa ‘scena’ è molto importante: la donna gli esprime il desiderio di avere quest’uccello per curare il figlio; il pianto di Federigo è un pianto di chi ha capto che per la seconda volta ha perso tutto. Non può soddisfare il favore della donna. Non ha capito la valenza del falcone, lo ha deprezzato: volendo fare ancora il megalomane ha sbagliato di nuovo.

Intanto il figlio di monna Giovanna muore, monna Giovanna ha capito quanto Federigo teneva all’amore di lei, ha capito che aveva sbagliato per lei, così si risposa proprio con lui per dare un erede ai beni acquisiti dal marito ormai morto. Federigo ha imparato la lezione, diviene ricco, felice e più accorto nelle questioni finanziarie.

La morte del ragazzo è causato dalla malinconia. Il termine malinconico bisogna notare che è molto più forte nel trecento che ai giorni nostri. La malinconia è legata alla teoria degli umori, secondo cui la stessa è dovuta a malfunzionamento della bile nel fegato.

Quando Federigo si sposa con la donna, la fortuna ha ancora una volta posato l’occhio benevolo su di lui, gli ha dato una seconda possibilità. Adesso Federigo dovrà imparare ad amministrare la ricchezza come un massaio.

Federigo personaggio simbolo? Secondo studi approfonditi Federigo anticipa figure stendaliane, balzachiane, tipo Julien Sorel per capirci. Nel passato di Federigo c’era l’età cavalleresca, magnifica, illuminata, che poi riprodurrà nuovamente Ludovico Ariosto.

 

 

 

8.                       Sesta giornata: Novella 10.

La sesta giornata cade di mercoledi e la regina è Elissa. Il tema è quello delle risposte pronte e argute che permettono di togliersi d’impaccio o da una situazione pericolosa.

E’ la giornata elogiativa dell’arte del saper ben parlare. Ci son nove novelle brevi più una normale. La sesta giornata apre il secondo gruppo di cinque. Si svolge interamente a Certaldo, dove si celebra lo spirito fiorentino.

E’ la giornata della celebrazione della retorica, che vedremo con la novella di Frate Cipolla.

La decima novella è quella di Frate Cipolla. La tematica di fondo è nuovamente quello dell’intelligenza. Protagonista come abbiamo capito è Frate Cipolla. Costui abitava in un convento dell’ordine di Sant’Antonio di Certaldo. Il borgo di cui egli faceva parte era abitato da ogni tipo di uomo, di qualsiasi condizione sociale, ma anche da molti nobili e possidenti. Ogni anno Frate Cipolla raccoglieva le elemosine dei contadini per il convento. Aveva delle scadenze ben precise, ed ogni anno si presentava dai suoi abitanti. Si parla in questo caso di “ritualizzazione del cerimoniale”.

Chi era Frate Cipolla? Che carattere aveva?

Uomo molto gioviale e scherzoso, amante delle allegre compagnie, poco istruito, ma grande oratore stimato da tutti i suoi conoscenti.

L’anno in corso in cambio delle elemosine di cui abbiamo parlato sopra, avrebbe mostrato loro una reliquia prestigiosa: una penna delle ali dell’arcangelo Gabriele. Ad assistere alle orazioni di Frate Cipolla c’erano anche due uomini Giovanni e Biagio, due compagni di brigata del frate, che ben conoscevano per le sue arti oratorie. I due volevano beffarlo, volevano rubargli la reliquia.

Il piano: Biagio avrebbe dovuto intrattenere il servitore di frate Cipolla e Giovanni avrebbe dovuto rubare la piuma. Il tutto durante l’assenza del frate che aveva un impegno. Lo scopo sarebbe stato quello di vedere come avrebbe reagito e cosa avrebbe detto frate Cipolla davanti ai fedeli una volta che si fosse accorto che non avrebbe trovato la reliquia.

Il servitore di fra Cipolla, era questo Guccio, chiamato anche con altri soprannomi: Guccio Topo, Guccio Imbratta ecc. Era uomo questo pesante, sporco, libidinoso e pesante. Persona cattiva e molto inetta, le cui caratteristiche erano le seguenti: tardo, sudicio, bugiardo, negligente, disobbidiente, maldicente, smemorato,scostumato.

Pensava Guccio di essere uomo piacente, tale da pensare che tutte le donne alla sua vista si fossero innamorato di lui.

Frate Cipolla arrivato in albergo, aveva detto a Guccio di sorvegliare le sue cose, specialmente le bisacce contenente i suoi oggetti sacri.

Guccio Imbratta contravvenendo agli ordini, era sceso nella cucina dell’albergo, alla ricerca di qualche donna da corteggiare, che gli trovò in Nuta, donna grossa, grassa, piccola e malfatta, molto prosperosa, unta e sudata. Dice Boccaccio, con il viso dei Baronci. I Baronci erano una famiglia ricordata per la loro bruttezza, sono i fiorentini più brutti, perché Dio li ha creati quando non ancora sapeva disegnare.

Guccio prese a corteggiarla, lasciando la camera incustodita, cosicché Giovanni e Biagio entrarono in camera e trovarono fasciata, una piuma di pappagallo e subito capirono che si trattava dell’importante reliquia da mostrare ai certaldesi. La scambiarono così con dei pezzi di carboni.

Intanto la chiesa che tutta s’era riempita aspettava frate Cipolla e soprattutto la reliquia che doveva essere mostrata. Durante l’evento il fate non accorgendosi dell’evento predicava con enfasi. Aprì la cassetta che doveva contenere la reliquia e trovò i pezzi di carbone. Alzò le mani al cielo ringraziando Dio e iniziò ad ingannare qualcosa per ingannare i fedeli.

Momento topico. Punto di snodo della novella. Frate Cipolla appare imperturbabile, sa di avere nella coscienza collettiva grande credito. Quando parla delle sacre reliquie in cui durante il medioevo forte ne era il commercio, ne parla in modo così carismatico da non far dubitare nessun fedele.

Inizia ad elencare tutti i luoghi (avendo sempre quei carboni davanti a lui) in cui era stato, facendo credere a coloro che ascoltavano la preghiera di aver visitato paesi esotici. Ma non fece altro che nominare rioni di Firenze.

La sfida con Biagio e Giovanni che erano tra i fedeli ad assistere al cerimoniale: è chiaro che i due buontemponi gli hanno lanciato una sfida che egli accoglie. Capisce che i suoi due beffatori sono di Firenze e gioca su questo fatto proprio nominandogli rioni di Firenze. Vuol fargli capire quanta fiducia hanno i fedeli verso di lui.

Frate Cipolla gioca su due registri: quello con il suo pubblico e quello con i suoi beffatori. Un archetipo dantesco in pratica.

Ma come spiegare il fatto dei carboni?

Disse che andando a Gerusalemme, Sant’Antonio gli fece vedere svariate reliquie. Per ringraziarlo delle sue compagnie gliene diede alcune, oltre alla piuma dell’arcangelo Gabriele, gli diede il suono delle campane del tempio di Salamone a Gerusalemme racchiuso in un’ampolla, e dei carboni, con il quale era stato bruciato e fatto martire San Lorenzo. Benché egli avesse da tempo queste reliquie, il suo superiore, l’abate, non gli aveva permesso di mostrarle, perché non si era certi della loro autenticità, ma quel giorno decise lo stesso di farlo, perché ad esse erano state attribuite dei miracoli. Disse infine che poiché le cassette, contenenti una la piuma e l’altra i carboni erano simili, per questo motivo le aveva scambiate, portando con sé i carboni, visto che quello era il volere di Dio, infatti due giorni dopo sarebbe stato San Lorenzo. Chiunque avrebbe toccato i carboni sarebbe stato immune da scottature per un anno.

Giovanni e Biagio rimasero stupefatti dall’astuzia con la quale frate Cipolla era riuscito ad ingannare i certaldesi e gli restituirono la piuma. I suoi due beffatori, o meglio ancora in quel momento i suoi due giudici avevano ascoltato tutto il discorso e aspettarono che andasse via tutta la folla per complimentarsi.

La novella si conclude con l’anno seguente dove la piuma procurò a Frate Cipolla non meno offerte dell’anno prima.

L’ambiente di questa novella è popolare ed ecclesiastico, Frate Cipolla è un religioso arguto, un grande linguista, ma non rispettoso dei principi della religione. E’ un beffardo.

Dioneo non polemizza con i frati, vuole dimostrare un evidente simpatia verso questo frate ‘gabbatore’ del prossimo.

Frate Cipolla è l’emblema di colui che sfrutta la crudeltà degli altri. Si dà per scontato che i frati antoniani sfruttino le loro abilità per rubare l’elemosina agli sciocchi. Frate Cipolla somiglia un po’ a Ser Ciappelletto, il miglior compagnone del mondo. Un buontempone, uomo che ama la convivialità, che si è integrato assai bene nella comunità ed è il padrino di battesimo di molte persone.

Dioneo è la figura più giusta per raccontare questa novella che può essere definita come la novella dove trionfa l’arte della parola.

Simile ai certaldesi è Calandrino di cui narreremo dopo. La calandra del mondo degli uccelli non ha un verso. Imita il verso degli altri uccelli.

 

9.                       Ottava giornata: Novella 3.

L’ottava giornata cade di domenica, regina è Lauretta e si narra di qualunque tipo di beffa. E’ la giornata in cui vi sono due novelle dedicate a Calandrino.

Calandrino fu personaggio realmente esistito, tale Giovannozzo di Pierino pittore italiano dell’epoca boccacciana..

 Calandrino rappresenta il semplice, lo sciocco per antonomasia, ad un livello superiore a quello di cui abbiamo parlato descrivendo le gesta di Guccio Imbratta.

La narrazione: a Firenze un ‘dipintore’ chiamato Calandrino ha per amici altri due ‘dipintori’ Bruno e Bulfamacco, uomini molto più furbi di lui, che di lui si facevano scherno e che approfittavano della sua stupidità.

Un giorno Calandrino si trovava nella chiesa di San Giovanni ad osservare il Tabernacolo. Qui lo coinvolgono in uno scherzo poco carino.

Maso un altro amico di Calandrino gli illustra le virtù delle pietre preziose che si trovavano in terre lontane come la famosa terra di Bengodi nella quale si legavano le vigne con le salsicce e vi era una montagna di formaggio parmigiano sopra la quale vi erano persone che cuocevano maccheroni in brodo di cappone e li buttavano giù.

Molto interessato Calandrino chiede dove fosse tale paese, sciocco com’era non si era accorto della burla che gli stavano facendo. Gli amici gli risposero che il paese era lontanto più di ‘millanta’ miglia, ‘più la che gli Abruzzi’.

Altre pietre preziose si trovavano poi anche vicino la città nel Mugnone, tra tutte le pietre la più interessate era l’elitropia, la pietra che dona l’invisibilità che era di colore nero.

Arrivati sul posto Calandrino raccoglie tutte le pietre nere che trova, e verso l’ora di pranzo è così carico di pietre che quasi non ce la fa più a camminare.

Il momento più comico della beffa: i due amici iniziano a fingerlo di non vederlo e Calandrino non parla per non far scoprire loro di aver trovato la pietra. Lo prendono anche  a sassate, ma lui niente, irreprensibile fa finta di nulla.

Ritornato in città, lo aspetta Monna Tessa sua moglie, che lo rimprovera di aver fatto tardi a pranzo, evidentemente con la moglie l’elitropia non aveva funzionato. Calandrino picchia la moglie e spiega agli amici la sua sfortuna: aveva trovato l’elitropia a sua moglie ne aveva annullato la virtù, perché le donne, è risaputo, fanno perdere la virtù a tutte le cose.

Cosa rappresenta Calandrino? Quali valori incarna?

Certo ignorante, buffo, rozzo qualsivoglia aggettivo, ma da un’analisi critica più dettagliata, qualche studio l’ha presto individuato nell’antieroe per eccellenza. Perché questo? La sua stupidità, la sua inettitudine, la sua voglia di calpestare tutti per arrivare a quello che si è prefisso, superano di gran lunga la sua ignoranza.

Da rilevare inoltre gli artifici linguistici con al deformazione dei vocabili per renderne ancor più uno scherno la beffa.

Due momenti topici nella novella o meglio due ripartizioni potrebbero essere fatte. Un primo tempo in cui l’architetto Maso del Saggio organizza i preliminari della beffa,e la conseguente ricerca della pietra magica a Mugnone, e un secondo tempo  con il ritorno a casa di Calandrino e tutto quello che ne consegue.

 

10.                   Nona giornata: Novella 3.

Nona giornata, cade di martedì, la regina è Emilia, e ciascuno racconta ciò che gli piace, è la giornata del tema libero, come del resto è stata la prima.

La terza novella è narrata da Filostrato ed il protagonista è ancora Calandrino. Muore una zia di Calandrino, che gli lascia duecento fiorini. Cosa decide di fare Calandrino? Con quei pochi soldi vuole entrare nei grandi mercati, nonostante i suoi amici cerchino di fargli cambiare idea.

L’idea di Calandrino è quella di investire i duecento fiorini, comprando un pezzo di terra.

Calandrino è sempre oggetto di scherzo, è il personaggio buffo per eccellenza. Nel Decameron è l’unico che è protagonista di quattro novelle.

Per dissuaderlo dall’investire ancora una volta Nello, Bruno e Bulfammacco (personaggio realmente esistito, autore di alcune raffigurazioni nel cimitero di Pisa) decidono ancora di scherzare con Calandrino dicendogli che è malato.

Come glielo si fa credere? A turno con un piano perfettamente organizzato prima Nello, poi Bruno e poi Bulfamacco gli vanno incontro dicendogli che ha assunto un aspetto strano, Bruno gli dice che ha una pessima cerca, e Bulfamacco gli dice che lo vede mezzo morto. Sarà meglio inviare le urine a Maestro Simone gli dicono.

Calandrino così si mette a letto,  è  Maestro Simone va a trovarlo su consiglio di Bruno, che intanto lo ha avvisato dello scherzo.

Maestro Simone finge di visitarlo accuratamente dice a Calandrino di essere incinto, e così Calandrino manda tutti gli accidenti possibili alla moglie…come farà a partorire si chiede? Intanto Bruno e Bulfamacco trattengono a stento le risate.

Una soluzione esiste: deve tirare fuori i duecento fiorini. Parentesi molto importante: nel Decameron la figura del medico, del magistrato e del filosofo hanno un ruolo che merita di essere approfondito.

Questi soldi servono a comprare i sei capponi con cui guarirà Calandrino. Ancora vittima della beffa Calandrino, sciocco e credulone dà i soldi a Maestro Simone che intanto per storpiatura è divenuto maestro Scimmione.

Come guarisce Calandrino? Calandrino non guarisce in quanto non era malato, ma gli viene data la pozione che gli farà credere che non è più incito. La pozione non era altro che una semplice acqua bollita. Così lui pensa di esser guarito, e Bruno, Bulfamacco e Maestro Simone si fregano i soldi e si mangiano i capponi.

Perché Calandrino si distingue dalle figure delle altre novelle? Perché la sua comicità non è data dalla sua stoltezza bensì dal fatto che egli vuole essere scaltro. Egli pretende di volgere a suo vantaggio quella che è una beffa, e cosa peggiore di tutte, non ha neanche capito di essere stato beffato. Una figura realmente meschina e negativa.

Si tratta di una novella molto breve, ma che rende pienamente nei significati e nell’intento del Boccaccio. Sono circa ottantasei i ‘versi’.

Nel Calandrino di questa novella emerge la sua parte avida, le sue ambizioni velleitarie, quindi il morboso attaccamento al danaro.

Emerge ancora una volta la sua violenza e tratti la sua bestialità. Già nella novella della pietra elitropia aveva picchiato la moglie. Anche qui l’ignoranza lo porta ad usare violenza contro la moglie.

 

11.                    Giornata dieci: novella 10.

Decima ed ultima giornata, il re è Panfilo e si narra di chi con cortesia e magnanimità ha avuto avventure d’amore o di altro genere. E’ la giornata come abbiamo ribadito nella struttura al paragrafo primo dei gesti splendidi, delle grandi rinunce. La giornata della virtù per eccellenza. Le novelle quattro e cinque hanno tematiche già trattate nel Filoloco.

L’ultima novella, questa, è la centesima, e viene narrata da Dioneo. La tematica della novella, la sua collocazione, è voluta ed ha motivi ben precisi. E’ netta l’opposizione tra il personaggio della prima novella della prima giornata, Ser Ciappelletto e il personaggio della decima novella dell’ultima giornata, Griselda.

Veniamo ai fatti.  Protagonista è il marchese Gualtieri di Salluzzo che sposa una donna di bassa condizione sociale, questa è Griselda.

La figura di Griselda nel corso del tempo sarà oggetto di studi, addirittura sociologici, proprio per ciò che concerne il rapporto che ebbe con il marchese. Vi è infatti una vasta letteratura su questa figura femminile che viene ripresa dal momento in cui Boccaccio la crea, e analizzata finanche dagli studiosi del novecento. Viene ripresa anche da una certa letteratura femminista, che si farà largo dagli anni cinquanta del novecento.

Ritornando alla novella. Griselda sposa Gualtieri. Donna bella, umile, dai modi giusti, dignitosa riesce a comportarsi a fianco di Gualtieri in modo esemplare fin quando il marchese per ‘matta bestialità’ dopo aver avuto un figlio con ella, decide di mettere alla prova il suo amore. Il concetto di ‘matta bestialità’ sarà oggetto anch’esso di studi nel corso del tempo, ed ha tuttavia una genesi di cui renderemo edotto nei commenti alla novella.

Insomma Gualtieri vuol capire quanto la donna si sottometta ai suoi voleri, quanto sia obbediente, quanto sia ‘schiava’ per certi versi.

Cosa organizza Gualtieri nel corso degli anni? Un piano strategico che porterà Griselda a lasciare il castello. Infatti prima le dice che tutti parlano male di lei in quanto è di origine plebea. Addirittura le fa portare via la bambina decindole che la ucciderà. In realtà la figlia verrà portata a Bologna e fatta educare.

La reazione di Griselda è di quelle esemplari di fronte a Gualtieri. Pur con una sofferenza immane nel cuore, pur non condividendo assolutamente le scelte del marito, rimane in silenzio.

Passano alcuni anni e nonostante tutte le prove che Griselda ha dovuto superare i due sposi riescono ad avere un altro figlio. E’ un maschio. Anche questo va a Bologna educato dai suoi parenti.

E’ un Gualtieri veramente sadico quello che viene fuori, la sua sadicità è superiore a quella del principe Tancredi di Salerno.

Gualtieri decide di sottoporre Griselda all’ultima prova, nonostante le critiche dei suoi sudditi che lo additano di troppa crudeltà.

Cosa succede? In cosa consiste l’ultima prova? Le dice che ha chiesto al papa affinché lui possa sposare un’altra donna, ed il papa ha avallato. Sicché Griselda deve lasciare il castello. Griselda così ritorna al padre. Dopo un po’ di tempo Gualtieri fa venire di nascosto da Bologna i suoi figli, dicendo a tutti che la fanciulla sarà la sua nuova sposa e che è la figlia dei Conti da Panago.

Ancor più sadico che mai, Gualtieri ordina a Griselda di addibbire il banchetto delle nozze e quando si trova davanti la giovane sposa, implora a suo marito che tratti bene la giovinetta.

Con questa ultima scena si chiude la pseudo punizione di Griselda, dove Gualtieri gli rivela tutto il suo piano: i suoi figli non sono morti, lui la ama incondizionatamente.

Vivranno per il resto del tempo felici e contenti.

Dioneo il narratore della novella non approva assolutamente il comportamento di Gualtieri che si sarebbe sicuramente meritato di essere tradito.

Riprendendo il concetto di matta bestialità, è Gualtieri ad esprimerlo trattando come una ‘pezza’  – se può essere usato questo termine – Griselda. Perché sceglie una donna così accondiscendente Gualtieri? Gualtieri ha paura delle donne. Nella confessione finale, quando gli rivela a Griselda che è stato uno ‘scherzo’ le nomina anche il motivo delle proprie crudeltà: la paura, quella paura di sposare una donna che l’avrebbe sopraffatto, dominato, messo in difficoltà.

Sono questi sentimenti che creano la ‘matta bestialità’ che si traduce in una violenza inaudita, una violenza diversa sia da quella di Calandrino che prende a bastonate la moglie, diversa da quella dei fratelli di Lisabetta da Messina, diversa da quella del principe di Salerno Tancredi. Diversa perché la genesi è diversa. Forse si può parlare di inettitudine del marchese, da una difficoltà di rapportarsi con le donne, forse il suo atteggiamento, la sua violenza è una sorta di difesa dalle donne che vogliono sopraffarlo.

Sulla contrapposizione prima novella, centesima novella, Boccaccio ha volutamente fatto questa contrapposizione. Ser Cepparello incarna i valori negativi, mentre Griselda i valori buoni di tutto il Decameron.

Riassunto de “LA BALLATA DEL VECCHIO MARINAIO” di Samuel Taylor Colridge

PARTE 1

Il racconto inizia con un vecchio marinaio che ferma tre giovani gentiluomini invitati ad una festa nunziale. Costui, il protagonista della ballata, aveva barba grigia e occhio scintillante. Partecipa a questa festa nunziale cercando di ammaliare lo sposo, il quale dopo momenti di titubanza preso dal carisma del vecchio inizia ad ascoltarlo. Il vecchio marinaio non  stava facendo atro che raccontare una sua nuova avventura marinaresca….

Racconta il vecchio marinaio che la nave venne salutata ed il porto oltrepassata. Il convoglio fece rotta verso Sud. Il tempo era dei migliori, ed il vento alla nave favorevole, ma verso l’equatore l’imbarcazione venne colpita da una tempesta tirannica e violenta trascinandola verso il polo Sud. Pian piano che si avvicinava la nave cambiavano i dettagli del paesaggio..non solo il freddo aumentava , ma vi erano ghiacciai alti quanto alberi, e una nebbia che dava scarsissima visibilità.

Il marinaio notò in questo paesaggio scarno un albatros, che venne salutato come presenza divina, come il presagio che le cose sarebbero dovute andare nel verso giusto, dopo la tremenda tempesta, infatti l’uccello venne trattato come si deve ad una presenza divina…rifocillato quotidianamente  non esitò a mangiarsi i pochi viveri rimasti sulla nave. Ma il vecchio marinaio  con la balestra  decise di ucciderlo,  forse preso da un raptus, da un’ansia incontrollabile per la situazione di precarietà creatasi, nonostante l’uccello fosse simbolo di buon auspicio.

 

 

PARTE 2

La perdita dell’uccello, portò tormento nel marinaio che riflettendo si rimproverò che aveva compiuto un’azione infernale, nonché venne imputato da tutti gli altri marinai di quel gesto che avrebbe portato solo sfortuna. Fui dichiarato – disse il marinaio –  uccisore dell’uccello che però portava la nebbia e la foschia, sicché venni assolto per aver fatto cosa buona e giusta.

Intanto la nave entrando nell’oceano pacifico cadde in bonaccia…e tale evento fu additato dalla mala sorte portata dall’albatro. Uno spirito aveva seguito la nave ed il vecchio marinaio, e l’equipaggio ancora una volta accusò il vecchio marinaio di questa sventura, tanto da compiere il gesto simbolico di appendergli al collo l’albatro.

 

PARTE TERZA

Il marinaio continua il racconto, spiegando che guardando a ponente scorse qualcosa nel cielo simile ad una macchia, ma pian piano prese forma. Era una vela…

Ma la nave non si muoveva, e le difficoltà di portare soccorso aumentavano di ora in ora. Ciò provocò nei marinai panico e sconforto. Al vecchio marinaio la nave scorta gli sembrava null’altro che lo scheletro di una nave; a bordo della carcassa del vascello vi era due donne impegnate in una partita a dadi:  la morte e la morte in Vita: le due donne stavano scommettendo su tutto l’equipaggio. Avrebbero fatto cadere la maledizione su tutti i marinai. Alla Morte andò la vita della ciurma, alla morte in vita, la vita del marinaio.

Intanto calò la notte, e la maledizione colpì ad uno ad uno ogni membro dell’equipaggio. Morirono circa cinquanta persone istantaneamente.

PARTE QUARTA

Parla l’invitato di nozze: “ho paura di te vecchio marinaio, ho paura di te e del tuo occhio scintillante”.  Il vecchio marinaio lo rassicura sulla sua esistenza corporea e prosegue nella suo terribile racconto “ solo, solo, tutto solo, sopra solo l’immenso mare”. Racconta la vista desolata di corpi morti, costui alzava gli occhi al cielo e cercava di pregare, mentre i morti giacevano ai suoi piedi, e dai corpi fuoriusciva un sudore freddo. Nell’occhio di un morto – il marinaio-  scorse la più tremenda maledizione, 7 giorni e 7 notte di sofferenza lo attendevano. Era la maledizione della Morte in Vita.

Quando vide i serpenti marini fu contento di vedere corpi viventi, non c’era parola che potesse descrivere la bellezza della vista; nello stesso istante potè pregare, e Dio impietosito dal gesto d’affetto, gli cessò il castigo: l’albatros gli si staccò dal collo e si inabissò nel mare

 

PARTE 5

Il vecchio marinaio lodò la Santa Vergine per avergli concesso un po’ di sonno, e poi un po’ di pioggia che servì a  refrigerarlo, nonché si potette  dissetare. Poi udì il rumore del vento che fece muovere le vele. I marinai morti come per magia iniziarono a lamentarsi, i loro corpi si rianimarono e tutto l’equipaggio come per volontà divina ritornò al proprio posto. La nave man mano si muoveva, il timoniere ritornò al timone e i marinai ritornarono alle corde, ciascuno insomma al lavoro di sempre.

Intanto riparlò il convitato: “ Ho paura di te vecchio marinaio” e il vecchio gli disse di calmarsi. l’equipaggio risvegliato – spiega al convitato – insomma la ciurma morta, si era trasformata grazie a  spiriti beati.

Continua nel racconto dicendo che fino a mezzogiorno le vele mantennero il loro piacevole gorgheggio, e la nave arrivò fino all’equatore, si mosse in modo cosi veloce che il marinaio cadde e svenì. Di quei momenti il vecchio marinaio non ricordava nulla, ma mentre riprendeva conoscenza, distinse due voci: una voce gli diceva “ è lui l’uomo che con la sua balestra centrò l’albatro?” Mentre l’altra voce – più lieve – ribattè: “ l’uomo ha scontato la sua pena, ma una ancora ne avrà

 

PARTE 6

 

Nella parte sesta assistiamo al dialogo tra le due voci che il marinaio ha udito dentro di se. La prima voce spiega alla seconda il moto della nave in assenza del vento: l’aria chiudendosi dentro la nave la fa avanzare.

All’improvviso il marinaio si svegliò e si navigò col tempo favorevole. L’incantesimo sembrò finalmente svanire e il marinaio rivide il mare verde…adesso la nave avanza velocemente fino ad arrivare alla sua terra natale. Il vecchio marinaio si lasciò andare per la prima volta ad una gioia inaudita, non credeva ai suoi occhi: “ risvegliami mio Dio oppure lasciami nel sonno per sempre”.

 

PARTE 7

Il vecchio marinaio ora nella sua terra natale vide il buon eremita che amava parlare con i marinai che avevano fatto lunghi viaggi. L’eremita si accostò stupito alla nave del vecchio marinaio, ma poco dopo la nave affondò. Il marinaio si trasse in salvo. Il vecchio marinaio chiese all’eremita di assolverlo dai suoi peccati, narrandogli prima la sua avventura. Alla fine del racconto dell’avventura marinaresca all’eremita, il vecchio fu espiato ed assolto.

Raccontare tutta la storia al convitato fu una cosa molto dolorosa per il vecchio marinaio, infatti disse che in questa avventura aveva dovuto cavarsela da solo. Consigliò poi al convitato di pregare per tutte le creature amate da Dio, dopodiché lasciò la festa.

Il vecchio marinaio intraprese il suo viaggio nel mondo per raccontare i suoi trascorsi marinareschi!

 

Riassunto de “La linea d’ombra” di Joseph Conrad

INDICE

1.1.        : Riassunto de “La linea d’ombra” di Joseph Conrad

1.2.        : Breve analisi critica de “La linea d’ombra”

1.3.        : Un romanzo tra il biografico e l’immaginario

 

1.1.       : Riassunto de “La linea d’ombra”.

 

 

1° CAPITOLO

 

Il primo capitolo si apre con il protagonista del racconto, un giovane ufficiale di marina, che narra o ci descrive per meglio dire, la sua decisione di lasciare la nave in cui aveva lavorato per 18 mesi, al servizio del capitano Kent.

Trattavasi di una nave del Porto d’Oriente, gli armatori erano arabi. Il giovane ufficiale aveva deciso di dimettersi per tornare in patria, stanco di quella vita che sembrava non gli desse più stimoli “ avevo l’impressione di non poter ricavare da essi alcuna verità”. Il riferimento è all’esperienza e a quel momento di vita.

Dopo aver salutato la flotta a bordo, non prima di aver subìto la morale del capitano Nieven, il giovane si recò nell’albergo dell’ufficio portuale: “La casa dell’ufficiale”.

Qui quattro personaggi si presentano alla sua vista:

–          il cambusiere: direttore della casa dell’ufficiale;

–          il capitano Giles: capitano da tutti stimato per le sue avventure marinaresche, di ritorno dal viaggio dall’isola di Sulù;

–          Hamilton: uomo anche lui con il ruolo di vice nelle missioni, alle intendenze dei vari capitani con cui aveva lavorato, aspirava anch’egli a diventare capitano;

i quattro personaggi, il giovane ufficiale li aveva conosciuti durante la colazione in albergo dove era andato a risiedere, ed era nato una sorta di feeling con il capitano Giles. I due infatti dialogarono per alcuni giorni a colazione e poi nella veranda dell’albergo, ed Hamilton personaggio scorbutico, si mostrava poco incline alle conversazioni, quasi con atteggiamento snobbistico, spocchioso asseriva spesso che la maggior parte degli ufficiali di marina erano dei dilettanti. La sola persona con cui dialogava era il cambusiere, ma si trattava non certo di un rapporto sereno in quanto, Hamilton lo teneva sulle spine, “ricattandolo” spesso di denunciare i conti dell’albergo all’ufficio portuale.

Il capitano Giles invece ne sapeva una più del diavolo, e non esitava a chiedere al giovane ufficiale, con aria compiaciuta, il perché si fosse dimesso.

Fu lo stesso Giles che mise al corrente il giovane che una lettera era arrivata alla casa dell’ufficiale, ed il cambusiere aveva tenuto tutto nascosto. Il giovane ufficiale si recò dal cambusiere per chiedere spiegazioni sull’accaduto, sul contenuto della lettera, il quale fu presto scoperto “era la notifica d’un posto vacante da capitano”.

Successe così, che il giovane ufficiale si recò all’ufficio portuale dove ebbe un fitto dialogo con con il sovrintendente marittimo capitano Ellis (Vicenettuno) il quale gli spiegò che un comandante di una nave britannica era morto a Bangkok, e il console gli aveva telegrafato di inviare laggiù un uomo competente a cui affidare il comando della nave.

Il giovane ufficiale entusiasta, firmo tutte le carte per prendere parte all’incarico: era diventato capitano della nave!

 

 

 

 

2° Capitolo

Il giovane ufficiale era diventato capitano dalla nave. La sua nave era ancorata nella capitale d’Oriente; si doveva arrivare al posto tramite un piroscafo.

Il tempo che intercorse fra la nomina a capitano e la salita sul piroscafo fu denso di riflessioni. Una sorta di esaltazione avvolge il pensiero del giovane ufficiale ”per Giove c’è l’ho” (esplicito riferimento alla nave) . Il giovane ufficiale di marina cominciò ad essere invaso da un bizzarro sentimento di esultanza, e si chiedeva perché proprio lui era stato scelto come capitano per quella nave: “per la lenta carriera? La ricompensa per un fedele servizio?”

Il giovane ufficiale chiese al capitano Giles come fosse riuscito a scoprire lo stratagemma dell’occultamento della lettera, ed il capitano gli rispose che: “ ben poche cose avvenivano in città di cui egli non sapesse cogliere i retroscena” e quella scoperta non gli era costato alcuno sforzo. In realtà Giles gli confidò che il cambusiere voleva Hamilton come capitano su quella nave: Hamilton sapeva troppe cose sul cambusiere, e sugli intrallazzi che faceva, poteva essere quindi personaggio scomodo. Il cambusiere poi tento il suicidio dopo essersi beccato una denuncia dal giovane ufficiale perché la verità era venuta a galla, ma venne salvato dal capitano Giles.

Ritornando alle sensazioni del giovane, era estasiato nel sapere che a breve avrebbe comandato la sua nave, pensava che il mare fosse l’unico mondo che contasse, le navi come prova di virilità, di carattere, di coraggio, di fedeltà e d’amore.

Prima di partire il capitano Giles salutò l’ufficiale con alcune parole inquietanti sulla situazione che il giovane stava per prendere in mano: “ una nave da tempo lontana dal suo porto, degli armatori irraggiungibili telegraficamente, e l’unico uomo che avrebbe potuto spiegare come stavano le cose, che era morto e sepolto ”.

Il giovane ufficiale si mise a bordo del piroscafo che l’avrebbe portato al porto dove ormeggiava la sua nave. Subito ebbe problemi con il comandante del piroscafo che lo accusò di aver perso tre ore..gli tenne il muso per tutto il viaggio, che durò non pochi giorni (tre).

Una volta arrivati alla capitale d’Oriente, si salpò nel porto dove il capitano del piroscafo mostrò per la prima volta al giovane ufficiale la nave di cui era capitano. Il giovane ufficiale fu colto da forte emozione, a cui seguirono delle riflessioni, paragonando la sua nave ad una donna, o meglio alla pari di certe donne rare.

 

 

3° capitolo

Il giovane ufficiale di marina si mise a bordo della sua nave, questa volta come capitano: dopo poche ore avvenne il primo incontro con il primo ufficiale Burns, colui il quale era stato primo ufficiale anche con il precedente capitano morto (a Bangkok). Nacquero le prime incomprensioni. Burns asseriva che una nave aveva bisogno proprio come un uomo di occasioni per mostrarsi al suo meglio, e che quella nave non aveva avuto simili occasioni dacché egli era a bordo. Si mise poi a raccontare del capitano morto: era stato questo un uomo strano, sui sessantacinque anni, con la faccia dura e poco comunicativo. Suonava il violino per ore e ore, e questo Burns non lo sopportava…aveva inoltre il vizio delle donne – continuò Burns – spiegando al giovane ufficiale che una volta dovettero stare fermi con la nave per tre settimane, causa i vizi del vecchio capitano. Durante quelle tre settimane di sosta – spiegò Burns – il vecchio capitano s’era ammalato, e ogni giorno che passava, la situazione si aggravava sempre più. Burns ricordò delle parole inquietanti che il vecchio capitano gli proferì: “se il mio desiderio si avverasse, né io, né voi, né la nave raggiungereste mai nessun porto. Spero che non ci riusciate”. Furono le ultime parole proferite dal vecchio a Burns, in quanto il vecchio capitano non voleva che si facesse ritorno a casa, infatti non scriveva né agli armatori, né più a sua moglie, aveva deciso di dare un taglio netto con tutto, non gli importava niente degli affari, delle spedizioni.

Il giovane ufficiale interpretò il racconto di Burns sul vecchio capitano, come un vero e proprio atto di tradimento del vecchio nei confronti della vita stessa.

Il giovane ufficiale scoprì poi che Burns aveva avuto velleità di diventare capitano, o meglio era stato proprio Burns a raccontarglielo in quanto invece di salpare nel porto di Singapore dove vi erano capitani in grado di prendere il posto del vecchio, morto, aveva portato la nave in un porto dove sperava d’esser confermato nel suo comando temporaneo.

Il giovane ufficiale ascoltate le ultime parole di Burns, sentì l’esigenza di difendersi, dicendogli che a lui era stato proposto l’incarico e non poteva certamente rifiutare.

Intanto anche il giovane andò incontro ai primi problemi con la nave: alcuni membri dell’equipaggio si ammalarono, un membro morì di colera. Così salì a bordo il dottore per visitare un po’ tutti. L’equipaggio non stava per nulla bene, e la nave fermatasi momentaneamente in un porto non poteva salpare. Di li a poco, si ammalò anche Burns, che non voleva che la nave partisse senza di lui. Erano gravi e disperate le condizioni del secondo ufficiale, e Ransome, cuoco dell’equipaggio si propose di sostituirlo.

Per alcuni giorni il giovane ufficiale, fece visita a Burns per monitorare le sue condizioni, finché decise di reintegrarlo in nave, La febbre sembrò passare ai marinai, il dottore diede un’occhiata alla scorta di medicinali. Si era pronti a ripartire, aspettava al giovane una traversata di sessanta giorni.

 

4° Capitolo

Il giovane comandante era pronto a salpare verso Sud, la nave si muoveva lentamente. Passarono alcuni giorni tranquilli, finché l’instancabile Ransome, uomo intelligente, pacato, dotato di spirito di volontà, disse al comandante che due marinai avevano contratto la febbre tropicale. Subito si partì con la somministrazione di medicinali, in particolare il chinino. Nel prendere il chinino il giovane comandante trovò una lettera scritta dal dottore, in cui gli diceva di non riporre eccessiva fiducia nei benèfici effetti del cambiamento d’aria tra terra e mera. Il dottore riteneva che il comandante avrebbe dovuto affrontare un’altra ondata di febbre tropicale.

Intanto la nave avanzava verso Capo Liant, il giovane comandante andò a parlare con Burns, che ricominciò con la maledizione del capitano morto che era stato lasciato morire ed era stato sepolto ad 8°, 2° di latitudine, proprio la stessa rotta che stava percorrendo la nave. Le condizioni di Burns miglioravano giorno dopo giorno, e la nave avanzava nel golfo di Siam. Il giovane comandante intanto rifletteva, si trattava di riflessioni su se stesso: “ la competenza per quel lavoro non mi mancava. Cosa mi aspettassi non so, null’altro che una particolare intensità dell’esistenza, forse ciò che era il succo delle aspirazioni giovanili

Ben presto anche il comandante cominciò a credere a quella maledizione mandata dal comandante morto. I venti non erano a favore della nave che si muoveva lentamente, e Ransome, continuava il suo ineguagliabile lavoro. L’equipaggio era in preda alla febbre tropicale, e il chinino era l’unico rimedio. Così il giovane comandante andò a prenderne dell’altro nella cassetta dei medicinali, altre dosi contenute in delle bottigliette di vetro. Il comandante però non trovò il chinino. Nelle bottigliette di vetro vi era della polvere bianca, il chinino era scomparso, ed il giovane comandante fu travolto dalla paura, seguirono attimi di panico, dove il comandante andò ad avvisare Burns sull’accaduto. Burns aveva ritrovato le sue forze. Come si venne a sapere il vecchio capitano morto, aveva venduto illegalmente la scorta della medicina subito prima della sua morte.

 

5° Capitolo

Il giovane capitano iniziava ad indebolirsi, mutava la sua percezione delle cose, ormai aveva una visione “malata” della sua nave, doveva sopportare i suoi dubbi, la sua confusione, i suoi pentimenti.

Il giovane capitano s’incolpò nuovamente, perché non aveva vigilato sull’accaduto. Volle così radunare l’equipaggio una volta per tutte, dichiarando di non poter soccorrere i malati: i marinai malati di febbre tropicale reagirono mettendo a disposizione tutte le loro forze.

Intanto Ransome, era allo strenuo delle forze. Lo chiamavano il francesino, per il suo volto. Il giovane capitano si lasciò andare ancora una volta a riflessioni su se stesso” ero come un falegname pazzo che costruisce una casa. Ciò che temevo era che mi sfuggisse una nota stridula, mandando a monte il mio equilibrio”. Il capitano soffriva per la situazione, per i marinai malati, per la nave che non si  muoveva, e si convinceva sempre di più della maledizione del capitano morto “quel demonio che aveva portato la febbre aveva risparmiato me e Ransome”.

Ransome era l’unico che non perse mai la lucidità, infaticabile, intelligente, sempre a disposizione del capitano che trovava delle forme sicurezze per la sua disponibilità. Il capitano si fece sfuggire uno sfogo intimo in chi ebbe l’impressione che tutti i suoi peccati l’avevano raggiunto, che aveva perso la gioventù spensierata, qualcosa al di là di un’ombra, e in quel momento non riuscii ad affrontare i suoi marinai, non riuscì a guardarli in viso.

Aveva, però, ancora le forze di tirare su l’equipaggio e nel contempo affidarsi alla buona sorte.

6° Capitolo

La buona sorte non sembra per nulla accompagnare il giovane capitano, e i sensi di colpa aumentano, la nave non si muove di un centimetro e presto i marinai malati sarebbero morti per la febbre se non fosse arrivati in un porto per curarsi.

I temporali non si placavano, anzi un temporale in particolare mise in difficoltà ancor di più di quanto non lo fossero, i membri dell’equipaggio. Quel temporale fu però affrontato con dignità sennonché peggioro le condizioni dei marinai. La nave venne sommersa dall’acqua che travolse tra l’altro anche Burns, che se la presa con la maledizione. Gli incubi aleggiavano anche sul giovane capitano..gli tornavano in mente tutti i casi di cui aveva sentito parlare di navi andate alla rovina.

Il temporale però ebbe a passare, e la nave riuscii a ripartire. Ransome continuava a darsi da fare, e il giovane capitano provava vergogna per non essere stato colpito dalla febbre.

Ransome notava ogni cosa, badava a tutto, portava conforto attorno a se. Lavorava in silenzio, con impercettibile sorriso incollato alle labbra, infatti fu ringraziato dal capitano, per la prima volta, per l’enorme lavoro che stava svolgendo.

Adesso ci si chiedeva come la nave sarebbe potuta entrare nel porto, e ciò se lo chiedeva anche Burns. Il problema fu presto risolto, la nave entrò nel porto, i medici salirono a bordo e trasportarono a terra l’equipaggio malato. Il giovane capitano ce l’aveva fatta! Ransome a malincuore lascio l’equipaggio per curarsi in ospedale.

L’avventura marinaresca si era divulgata in tutta la città, e il giovane comandante si era recato all’ufficio portuale: voleva salutare il capitano Ellis, ma era andato in pensione. Incontrò invece nuovamente il capitano Giles, ed a lui raccontò tutta l’avventura, dicendogli che era pronto a ripartire. Il capitano Giles gli chiese come si sentisse, e il giovane capitano disse: “Non mi sento stanco, mi sento vecchio, e credo di esserlo, e tutti voi qui al porto mi sembrate giovincelli bizzosi”. Ultimo dialogo prima di ripartire, il giovane comandante lo ebbe con Ransome: si strinsero la mano!

 

 

1.2: breve analisi critica de “La linea d’ombra”.

 

Si tratta di un romanzo di Conrad ricco di pathos, pubblicato per la prima volta nel 1917. I critici lo definirebbero un romanzo di formazione come essenzialmente è, per usare un tecnicismo letterario un Bildungs-roman. Si assiste infatti alla crescita del giovane marinaio che in un lasso di tempo molto breve si trova ad essere capitano e va ad affrontare un’avventura marinaresca senza precedenti.

Joseph Conrad ci racconta le riflessioni, le ansie, le paure, le decisioni di questo giovane costretto a maturare troppo in fretta, desideroso di essere al comando di una nave, posto ambito da tanti suoi pari in grado, ma il timone  è toccato a lui. Dovrà condurre in porto la sua nave e il suo equipaggio in condizioni non del tutto normali. E in queste caratteristiche c’è tutto il tipico romanzo d’appendice: effettivamente il giovane si trova ad affrontare una maturazione velocissima che lo porterà a dire nelle ultime righe dell’ultimo capitolo di esser diventato vecchio.

Si tratta dell’ultimo capolavoro di Conrad, ma anche una delle sue opere più tipiche. Il viaggio in mare, non altro e di più di una sua autobiografia, vista e raccontata questa volta con occhio critico.

La struttura narrativa si snoda su un duplice piano: da una parte aleggia sempre lo spirito del vecchio capitano morto e che ha lasciato il posto al giovane; dall’altra c’è il giovane con i suoi accadimenti, con i suoi gesti, con le sue responsabilità che cerca o forse arriva alla saggezza, alla maturità. E’ su questo conflitto che si poggia il romanzo, costruito su personaggi ben delineati, chiari e nitidi, che non richiedono un’analisi complessa, e che nello svolgersi dell’azione  delineano in modo limpido e cristallino il loro carattere, proprio perché effettivamente l’autore li traspone dalla vita reale e li porta nel romanzo, breve come lo definiscono i critici, ma sicuramente denso e pieno di spunti, in cui l’esigenza di andare oltre le righe, oltre i contenuti non si avverte perché si delinea chiaro fin dal suo inizio.

La prosa sembra essere abbastanza “chiara” e “semplice” scritto con un linguaggio immediato che non allude ad altri significati, ma che rimanda direttamente all’idea che vuole esprimere.

E.M. Forster disse su Conrad: “lo scrigno segreto del suo genio è pieno di cianfrusaglie piuttosto che di gioielli; è inutile quindi di sforzarsi di capirlo dal punto di vista filosofico, poiché non c’è niente da scrivere in questo senso. Nessuna dottrina in realtà. Solo opinioni…”.

Tra gli artisti più importanti del Novecento inglese, influenzato da romanzieri come Flaubert e Maupassant, all’inizio del Novecento si delineava un’inflazionata narrativa sul tema del viaggio e sull’avventura marinaresca, talvolta senza senso e priva di contenuti.

Con la sua scrittura ne “la linea d’ombra” Conrad cerca di continuare quell’opera iniziata da Henry James alla fine dell’Ottocento il quale aveva introdotto un’innovazione: aveva privato il punto di vista del narratore della sua tradizionale affidabilità e onniscienza, lo aveva confidato ad un personaggio comune, parziale, passionale, infido come gli altri.

La stessa cosa fece Conrad con sviluppi straordinari, scaricando tutta la sua arte nel personaggio del “giovane marinaio” di The Shadow Line.

La linea d’ombra sta ad indicare un passaggio, un’evoluzione dalla gioventù alla maturità del personaggio che narra.

 

1.3. Un romanzo  tra il biografico e l’immaginario.

Conrad parlando del suo romanzo, dice di aver avuto ispirazione da gli anni trascorsi fra il 1883 e il 1888. Sono gli anni in cui l’autore aveva navigato prima in qualità di secondo ufficiale sul brigantino Palestinese , poi da capitano su un altro brigantino a vela, l’Otago.

Così l’esperienza marinara da lui vissuta va a confluire nel romanzo. A ben vedere molti suoi romanzi narrano o hanno una parte dell’azione svolta in mare, attraverso un viaggio in mare, attraverso il viaggio. Si può citare ad esempio “Un reitto delle isole” (1896);  Al limite estremo (1902); “Freya delle sette isole” (1912), od il famosissimo “Cuore di Tenebre” (1899) dove la via del romanzo è costituita dal fiume Congo.

I riscontri di un romanzo autobiografico possono essere sicuramente documentati:

nel Gennaio del 1888 Conrad si trovava a Singapore come primo ufficiale del Vidar. Dopo due settimane Conrad abbandonò il Vidar per salpare verso Bangkok con la nave Melita, per poi assumere il comando del veliero Otago.

Qui i critici tendono a sottolineare le caratteristiche di chi aveva capitanato l’Otago prima di Conrad. Si trattava del capitano Jhon Snadden, morto per attacco cardiaco nel dicembre del 1887 a bordo dell’Otago, durante un viaggio in mare da Haiphong a Hong Kong: l’Otago era così tornato indietro, aveva compiuto il periplo della penisola di Cocincina ed arrivato a Bangkok, all’apice del golfo di Siam; Snadden era stato sepolto in mare.

Ecco le similitudini: nel primo viaggio da capitano Conrad portò il brigantino da Bangkok a Sidne con scalo a Singapore, e il primo tratto di questa rotta viene percorsa anche nel romanzo.

C’è di più: la sosta a Bangkok si protrasse dal 24 Gennaio 1888 al 8 Dicembre 1888 dove Conrad fu costretto a rimanerci sia per le operazioni di scarico, sia per lo stato di salute dell’equipaggio. Anche nel romanzo abbiamo soste, anche nel viaggio abbiamo la febbre tropicale che infesta l’equipaggio, anche nel romanzo abbiamo i  membri dell’equipaggio trasportati in fretta e furia all’ospedale cosi come avvenne a Singapore con Conrad dove quattro vennero trasportate velocemente all’ospedale.

Altresì può essere documentato ciò che non fa parte della vita reale di Conrad e che è presente nel suo romanzo. Le indagini effettuate da uno studioso come Norman Sherry hanno dimostrato che il capitano reale, il predecessore di Conrad, una pasta d’uomo, in buoni rapporti con il capitano di bordo, affezionato alla propria famiglia e sollecito nei riguardi della bella nave, della quale era fra l’altro comproprietario.

Molto più drammatiche che nella realtà sono anche la descrizione e le motivazioni del ritardo nella partenza da Bangkok, della colpevole mancanza del chinino, come pure della malattia che scheletrì l’equipaggio, dell’abnegazione del previdente, eroico, modesto Ransome, della progressiva maturazione del giovane capitano attraverso un sofferto rito di passaggio, una vera e propria ordalìa.

Ma perché intitolarlo “La linea d’ombra”? C’è da rilevare un altro dato essenziale: scritto alla fine del 1915, il figlio di Conrad, Borys, si era arruolato all’inizio del 1916 per andare in prima linea sul fronte francese. Fra i pochissimi scritti pubblicati al tempo di guerra, questo romanzo venne dedicato a Borys e a tutti coloro che come lui hanno passato la linea d’ombra della loro generazione, istituendo così un parallelo fra una cruciale prova di coraggio nella vita del padre e in quella del figlio.

Sicché: non si tratta di un’opera autobiografica in toto. Cercare di cavare l’esperienze da Conrad vissute sia da primo ufficiale che da comandante nella vita reale, e poi cercare di individuarle nel romanzo,  sarebbe operazione ingiusta, o meglio non di importanza primaria, che non rende dignità ad un’opera che è decisamente di più della biografia dell’autore, sia per quello che racconta, sia per i simboli letterari in essi presenti, sia perché anticipatore di alcune tematiche che poi verranno riprese da altri autori inglesi del Novecento.

 

 

 

 

Riassunto di “La tempesta” di William Shakespeare

INDICE

1.1.: riassunto de la “Tempesta”

1.2.: The Tempest: breve analisi critica

1.3.: La trasmissione del testo, le fonti

1.4.: Il topos del viaggio nella commedia

1.5.: L’importanza dell’epilogo

 

1.1.        Riassunto de “La “Tempesta” di WIlliam Sheakspeare

 

L’ANTEFATTO

 

Prospero, duca di Milano, per dedicarsi totalmente agli studi di magia, affida il governo dello Stato al fratello Antonio, uomo ambizioso, che approfitta dell’incarico per spodestare Prospero con l’aiuto di Alonso, re di Napoli.

Prospero e la figlia Miranda, di tre anni, vengono trascinati una notte su una carcassa di nave e abbandonati alla deriva in alto mare.

Spinta dalle tempeste e dai venti la nave approda in un’isola del mare Mediterraneo, abitata soltanto da Calibano, uomo-mostro, e da Ariel, spirito dell’aria.

Nell’isola, vivendo in una grotta, Prospero e la figlia trascorrono un lungo periodo di tempo: oramai Miranda è una giovinetta.

Un giorno (siamo all’inizio del dramma), il re di Napoli con suo fratello Sebastiano e l’unico figlio Ferdinando, insieme ad Antonio, il falso duca di Milano, e ad altri gentiluomini, passano con le loro

navi presso le coste dell’isola.

Alonso torna in patria da Tunisi, dove aveva festeggiato le nozze della figlia Claribella con un re africano.

Prospero, con la sua magia e l’aiuto di Ariel, simula una tempesta e la nave del re, separata dal resto della flotta, si rompe contro gli scogli.

 

 

 

ATTO PRIMO. PRIMA SCENA.

Il veliero ritornando da Tunisi si imbatte in una tempesta. C’è un gran da farsi per evitare il naufragio, si susseguono paure ed ansie. Il nervosismo è alle stelle. In questo frangente parlano quelli che poi saranno i protagonisti di tutta l’avventura marinaresca: il Nostromo, il capitano, Gonzalo (gentiluomo napoletano) Sebastiano (il fratello di Alonso re di Napoli) ed Antonio (fratello legittimo del duca di Milano Prospero).

Circa dodici anni prima di questo momento Antonio aveva scippato il ducato di Milano a suo fratello Prospero. Vedremo come…

 

ATTO PRIMO. SECONDA SCENA

Prospero legittimo duca di Milano racconta alla figlia Miranda come siano arrivati sull’isola, le racconta del perché, del come e del quando.

Miranda piange per le vittime perdute sulla nave, ma Prospero cerca di rassicurarla. Prospero  era noto per i suoi intensi studi di magia, era noto come accanito lettore, come divoratore di biblioteche e le spiega che tutti i passegeri della nave sono in salvo, era stato tutto un incantesimo da lui voluto e le spiega con dovizia di pariticolari il perché: inizia a raccontare a Miranda che erano passati 12 anni da quando era duca di Milano, nonché principe molto potente. Suo fratello Antonio, era stato colmato di fiducia  fin da  lasciargli in cura il ducato di Milano.

Prospero era molto stimato per la sua nobiltà di pensiero e per il suo ineguagliabile valore nelle arti e lasciò che Antonio gli governasse il ducato. Antonio però non lo ascoltava più e arrivò a cacciare gli uomini che erano stati fedeli a Prospero…pian piano si convinse che fosse lui il vero duca di Milano.

Prospero racconta a Miranda quello che  suo fratello  Antonio  strinse un patto con il re di Napoli dove si impegnava ad essere un suo vassallo in cambio di un tributo annuo. Il re di Napoli, Alonso, era antico nemico di Prospero, ma accettò l’offerta postagli da Antonio, ed ottenne inoltre che Prospero venisse cacciato dal Ducato.

Miranda poi chiede a Prospero: “ e perché non ci tolsero la vita? “ Prospero rispose che li spinsero con furia in una barca e giunti in alto mare li abbandonarono, e giunsero alla riva dove Prospero stava raccontando tutto a sua figlia Miranda.

Prospero prevedendo che sull’isola si sarebbe vissuto in condizioni pessime aveva incaricato al consigliere Gonzalo di portare con sé ogni genere di viveri, dagli abiti al cibo per sfamarsi, tutto avrebbe dovuto alleviare la sofferenza a cui sarebbero andati incontro sull’isola.

Miranda stanca dopo aver ascoltato per molto tempo la storia del padre, si addormenta…

 

ATTO SECONDO. PRIMA SCENA.

In questo dialogo tra Ariele e Prospero si svela il piano architettato da Prospero e fatto eseguire ad Ariele suo servo. E’ stato Ariele a far naufragar la nave e gli racconta passo dopo passo l’accaduto al suo padrone. Nessuno era morto, ma tutti dispersi. Ferdinando figlio di Alonso è disperso in solitudine.

Prospero ha ancora bisogno dell’aiuto di Ariele che a questo punto avanza delle pretese, vuole che poi sia lasciato libero per un anno. Prospero è costretto a ricordargli che era stato imprigionato per 12 anni causa perfidia della strega Sicurace nella cavità di un albero di pino, ed era stato proprio Prospero a salvarlo. “Vuoi tu  – afferma Prospero – ritornare nell’albero? Allora mi servi ancora! Trasformati nella nuova forma e torna subito qui“

ATTO SECONDO. SECONDA SCENA.

 

Calibano servo selvaggio e deforme era figlio della strega Sicorace. Un tempo era il padrone dell’isola in cui ora tutti si trovano, ed ora era diventato lo schiavo di Prospero, colui che gli serviva la legna. Veniva trattato con sdegno da Prospero perché aveva tentato di stuprare sua figlia Miranda. Per quest’azione fu sempre maledetto. Il dialogo è molto fitto, e i due si rinfacciano le cose. Intanto Ariele come da Prospero ordinato si trasforma in Ninfea Marina, ed è pronto per servirlo.

Calibano mentre trasporta la legna per prospero incontra i due servitori del re di Napoli Alonso. Stefano e Trinculo erano ubriachi fradici. I due riescono a convincere Calibano a bere con loro, il ché provoca una sorta di trasformazione in Calibano che non avendo mai toccato alcool inizia a vaneggiare..crede che Stefano sia il suo Dio, e gli promette eterna fedeltà

Ariel trasformato in spirito invisibile inquieta il figlio del re Ferdinando, che solo sull’isola si trova ad ascoltare strane musiche e strane voci. Costui si chiede da dove provengano.

Intanto arriva Miranda e Ferdinando si chiede chi sia..con ella arriva anche a Prospero. Ferdinando rivendica il suo diritto ad essere il re di Napoli in quanto suo padre è naufragato, morto e scomparso.

Miranda chiede pietà per Ferdinando a suo padre affinché non venga eliminato. Sdegnato Prospero tratta in modo brutale Ferdinando che vuole portare Miranda a Napoli. Intanto Ariele non ha ancora terminato il suo compito…

 

 

ATTO TERZO. PRIMA SCENA

Siamo sull’isola, dopo il naufragio, chiacchierano Alonso, Sebastiano, Antonio e Gonzalo. Ringraziano le divinità per essersi salvati. Alonso è molto addolorato perché pensa che suo figlio Ferdinando sia morto. Mentre chiacchieravano notaro che i loro vestiti erano intatti invece di essere pregni d’acqua.

Il discorso poi si sposta sulla regina, la moglie di Alonso, la bella Clarissa regina di Tunisi che potrebbe sostituire Ferdinando alla guida del regno di Napoli, in quanto ovviamente Ferdinando lo credono morto.

Molte volte prende parola Gonzalo consigliere del re, dispensando consigli su come si dovrebbe condurre un regno. Sebastiano ed Antonio lo deridono.

Intanto tutti si addormentano tranne Antonio e Sebastiano. Antonio decide di raccontare a Sebastiano cosa si potrebbe fare per prendersi il regno di Napoli. In effetti Antonio consiglia a Sebastiano di prendere possesso del regno di Napoli. Sebastiano gli risponde quale ruolo avrebbe avuto poi Clarissa? La risposta di Antonio è lapidaria: “ abita dieci leghe oltre la vita di un uomo”. Sebastiano chiede ad Antonio come si sentisse ad aver rubato il Ducato di Milano a suo fratello, ma durante il dialogo si fa distrarre dalla proposta di Antonio, vuole a tutti i costi prendersi il regno di Napoli, iniziando ad uccidere Gonzalo che intanto dorme. Così i due tirano fuori le spade, ma entra in scena Ariele che sveglia Gonzalo che urla e sveglia anche Alonso. Cosa è stato? chiede Alonso, ed Antonio e Sebastiano gli rispondo che avevano udito tori e leoni.

 

 

 

ATTO TERZO. SECONDA SCENA

Protagonisti sono Calibano servo di Prospero, Trinculo il Buffone, e Stefano l’ubriaco. Tutti e tre mentre discutono sono soggetti alla vista di un mostRo, un diavolo che non riescono a riconoscere. La scena è un seguito di visioni e di deliri. Anche i tre vogliono impossessarsi dell’isola.

 

ATTO TERZO. TERZA SCENA

La scena si sposta in dall’altra parte dell’isola dove sono presenti Ferdinando, Miranda e Prospero. Ferdinando è intento a portare la legna, lavoro umile che lui mai farebbe, lo sta facendo solo per Miranda di cui si è innamorato. Miranda ricambia l’amore di Ferdinando e descrive tutta la sua castità dicendo di non conoscere altre donne, ne di aver mai visto altri uomini tranne che suo padre e Ferdinando. L’amore tra i due scoppia e Prospero dopo un tentennamento non può che acconsentire. Poco dopo abbiamo la promessa di matrimonio di Ferdinando che dice a Miranda:

non posso essere lieto come loro che furono sorpresi dall’amore, la gioia non sarà
più grande per altra cosa

Intanto Calibano decide di raccontare la sua storia a Stefano. Gli dice che era stato spodestato dalla sua isola da Prospero…Calibano vuole vendicarsi e illustra il progetto a Stefano che dovrà compiere l’opera. Intanto Ariele – che è invisibile – ha sentito tutto, ed ogni tanto manda dei segnali che fanno sobbalzare i tre. Stefano ucciderà Prospero il pomeriggio, e diventerà il re dell’isola: lo ucciderà con un palo e con un coltello e dovrà bruciare tutti i suoi libri, quei libri che gli danno il potere per praticare la magia.

Intanto Ariele si fa risentire, ha ascoltato tutto il piano ed è pronto a riferirlo a Prospero.

Intanto Antonio e Sebastiano continuano a chiacchierare. All’improvviso entra lo spirito di Ariele con altri spiriti, che portano una tavola imbandita di cibo. Sono tutti pronti a cibarsi, hanno tutti fame, hanno viaggiato a lungo. Alonso ormai è convinto di aver perduto il figlio Ferdinando. Ariele trasformato in Arpia fa scomparire il banchetto, tutti rimangano attoniti, pensano che a compiere l’atto siano stati degli isolani dalle forme mostruose, o addirittura dei diavoli. Segue poi un bel monologo di Ariele dove ricorda tutti i delitti di cui si sono macchiati il re ed Antonio. Parla anche Prospero che si complimenta con Ariele reo di aver fatto un divino lavoro.

Tutti i protagonisti hanno paura di quel che è successo sull’isola…

 

 

ATTO QUARTO. UNICA SCENA

La quarta parte inizia con Prospero che dà la sua benedizione a Ferdinando di prendere in sposa sua figlia Miranda. Queste sono le parole di Prospero:

anche se ti ho punito duramente hai ricevuto come ricompensa la terza parte della mia vita, cioè quella per cui vivo: mia figlia. E soffrirai se non le darai il tuo amore”.

Ferdinando è pronto a prendersi tutte le responsabilità, ma Prospero con l’aiuto di Ariele gli mostra a Ferdinando cosa andrà incontro se tratterà bene sua figlia. Ariele così fa entrare tutti i suoi spiriti: Iride, Giunone, Cerere. I spiriti iniziano a proferir parola:  suolo fecondo e raccolto abbondante vigne cariche di colme dispense e granai per gli sposi…

Intanto c’è da risolvere un’altra questione, bisogna affrontare Calibano e Stefano.

 

ATTO QUINTO. UNICA SCENA.

La scena si sposta da Calibano, Stefano e Trinculo che si avvicinano alla grotta di Prospero, paurosamente a passo lento. Scorgono dei vestiti, messi accuratamente da Ariele di modo che possano prenderli. Entrano alcuni spiriti in forma di cani da guardia e da caccia e si avventano contro i tre che scappano. Prospero non contento vuole dare la giusta punizione anche al re Alonso e chiede ad Ariele dove si trova, Ariele gli dice che sia Alonso che Sebastiano ed Antonio stanno soffrendo tutti e tre maledettamente.

Molto importanti alcune parole pronunciate da Prospero:

“ la ragione supera in me la collera, e il perdono vale più della vendetta. Ora sono pentiti e questo era solo il mio scopo. Ora va a liberarli Ariele”.

Alonso, Sebastiano, Antonio entrano nel cerchio magico tracciato da Prospero, e rimangono li immobili, incatenati, e non possono far altro che ascoltare il discorso di Prospero. Si tratta di un discorso molto importante. Prospero dice che ricompenserà Gonzalo per la sua bontà. Ad Antonio che per sete di potenza ha deluso gli affetti anche lui verrà perdonato. Ariele verrà liberato, ma come ultimo atto dovrà svegliare i marinai che era naufragati insieme alla nave.

Alonso il re, non crede ai suoi occhi, e afferma di voler rinunciare al Ducato di Milano che era di Prospero. Anche Sebastiano viene perdonato.

Prospero poi rivela a tutti il matrimonio tra Ferdinando e Miranda. Alonso ritrova suo figlio che pensava fosse morto.

Importantissime sono anche le parole proferite da Gonzalo secondo cui la tempesta è stato un disegno divino, affinché ognuno ritrovasse se stesso.

Intanto Ariele ritorna con il capitano e con il Nostromo ubbidendo agli ordini di Prospero. Ariele libera poi Calibano, Stefano e Trinculo vestiti degli abiti rubati. Siamo alla fine della tragedia, e Prospero invita tutti a seguirlo nella sua grotta dove racconterà tutta la sua storia. Il giorno dopo saranno a Napoli per celebrare le nozze di Ferdinando e Miranda.

 

EPILOGO (recitato da Prospero)

Prospero si appella alla divina provvidenza ora che non può più fare incantesimi, ora che la sua missione è stata compiuta, ora che ha ricevuto il suo Ducato. E dice:

la mia fine sarà disperata se non mi aiuta almeno una preghiera che giunga in cuore alla Misericordia, liberando ogni mio peccato”.

 

 

 

 

 

 

1.2.: The Tempest: breve analisi critica

Si tratta delle ultime sue commedie, della sua forse ultima grande opera creativa, una summa di tutto ciò che è esprimibile. Scritta nel 1610, e pubblicata in’folio nel 1623 si tratta di una commedia ricca di pathos e di emozioni. Ogni personaggio è ben costruito e ha un posto preciso nella scena. Ogni oggetto, ogni scena ha una simbologia ben precisa in questa commedia, che sembra rimandare ad ideali medievale e rinascimentali. Anzi sicuramente è così.

Scritta in cinque atti, appartiene alla produzione dei romances , ed è scritta rispettando le unità di tempo di luogo e di azione.  Fu rappresentata per la prima volta il 1º novembre 1611 al Whitehall Palace di Londra.

Si intrecciano nella commedia vari temi: la lotta per il potere; la natura contro l’ordine sociale; la nuova geografia ed il tema del viaggio; la magia ed il colonialismo.

Proprio sulla magia e sulla bacchetta di Prospero sono stati redatti moltissimi saggi che spiegano l’importanza dell’incantesimo nella commedia: alla luce di ciò è importantissimo l’epilogo recitato da Prospero. Nonché molto importante si rivela essere questa nuova geografia letteraria inaugurata da Shakespeare, alla scoperta di questo nuovo mondo, che si configura nella descrizione dell’isola certo, ma anche di ciò che non è stato realmente visto, ma strutturato nella fantasia dell’autore inglese.

I personaggi principali quelli su cui Shakespeare sembra contare per strutturare tutto il dramma sono ovviamente Prospero e Calibano, entrambi hanno una lunga storia alle spalle ed entrambi sembrano rappresentare qualcosa di reale, personaggi reali insomma. Ci si affrettava a rilevare come con Prospero, Shakespeare avrebbe voluto rappresentare se stesso, mentre con Calibano avrebbe voluto rappresentare una parte di Prospero, quella matta e bestiale, ovvero quella realtà di se che ha a lungo ignorato, che lo spaventa. Infatti Prospero non esita a ridurre Calibano in schiavitù, non fa che sottolinearne la sua cattiveria, lo allontana per esorcizzare l’immagine tenebrosa di sé.

Sul tema del colonialismo poi, a lungo gli studiosi si sono chiesti se la Tempesta fosse un dramma colonialista. Prospero appare in numerosi momenti il colonizzatore a cui il solo abitante e sovrano dell’isola ingenuamente rivela e offre le ricchezze che sono sue, che ne fa il suo schiavo quando ha ottenuto da lui la chiave per governare, sorprendendosi da autentico colonialista, della ribellione di Calibano alla schiavitù.

All’interno della metafora teatrale, vi  è poi la metafora del viaggio: i naufraghi compiono un cammino che si snoda dall’inferno del mare in tempesta, dall’apparente morte tra le onde o nella stiva della nave, all’approdo alla misteriosa isola dei suoni dove tutti vengono sottoposti a prove e castighi, messi di fronte alle loro colpe e dove infine davanti alla grotta di Prospero ricevono da quest’ultimo il perdono, e purificati dai castighi subiti e dal perdono ricevuto, ritornano alla vita, a una vita diversa da quella vissuta prima della singolare esperienza.

 

 

1.3.: La trasmissione del testo, le fonti

 

Il testo della “Tempesta” venne pubblicato per la prima volta nel 1623. Nella prima stampa questo era diviso in atti ed aveva didascalie che vengono oggi attribuite dagli studiosi a Shakespeare.

Sebbene non esistano grossi problemi filologi, o meglio problemi per il riconoscimento dell’autenticità del testo, più affascinante sembra essere la storia che è alle spalle di quest’opera.

La “Tempesta” venne scelta per essere rappresentata in occasione dei festeggiamenti per le nozze tra la principessa Elisabetta, figlia di Giacomo I e l’Elettore Palatino, nel febbraio del 1613.

La scrittura della commedia va invece sicuramente datata tra la fine del 1610 e il novembre del 1611.

Per ciò che concerne le fonti che Sheakspeare consultò per mettere su la commedia, molti studiosi si sono affrettati nel affermare, che le opere della fase finale di Sheakspeare e quindi anche questa hanno come autentica fonte le precedenti opere del drammaturgo.

Secondo Anna Luisa Zazo, in questa commedia le fonti conosciute servirono da spunto, da elemento di ispirazione e non fornirono né la trama né i personaggi.

Furono molto importanti anche per Sheakspeare alcuni resoconti di viaggi autentici, accompagnati da naufragi e soggiorni in “isole misteriose” (le Bermude) narrati da Sylvester Jourdan che aveva partecipato al viaggio nell’autunno del 1610.

In particolare sono tre i testi che suggerirono a Sheakspeare l’idea del naufragio, dell’isola deserta, dell’approdo dei naufraghi sull’isola:

–          A discovery of the Barmudas, Otherwise Called The isle of Devils (scoperta delle bermuda chiamate anche isole del viaggio)

–          True Repertory of the Wrack ( Relazione autentica del naufragio)

–          True Declaration of the state of the Colonie in Virginia (Descrizione veritiera dello stato della colonia in Virginia)

A questi tre testi ne potrebbe essere aggiunto sicuramente un altro, ovvero uno dei saggi di Montaigne “Des Cannibales”, da cui Sheakspeare potè trarre la descrizione dello stato ideale che il vecchio Gonzalo dà nel secondo atto.

Un’altra possibile fonte è quella che poi va a sottolineare lo stretto rapporto tra teatro elisabettiano e la commedia dell’arte, in quest’ottica vanno messi in evidenza tre canovacci italiani:

–          La pazzia di Filandro gran Mago

–          La Nave

–          Li tre Satiri

Tuttavia come tendono a sottolineare la maggior parte degli studiosi molto importante per Sheakspeare  e per la maturazione della commedia sono stati i resoconti dei viaggi autentici, le descrizione delle isole e dei luoghi reali.

 

 

 

 

1.4: IL TOPOS del viaggio nella commedia

 

Siamo all’inizio del Seicento, siamo durante il periodo delle traversate oceaniche della conquista dei nuovi mondi, ed in questo contesto che deve essere la commedia shakespeariana. Quest’ultima accoglie le scritture di viaggio e l’immaginario geografico dell’epoca, trasformandolo addirittura in archetipo.

Il fatto che nella commedia vengano allusivamente menzionate le isole nord-atlantiche ne è la riprova.

Si è parlato prima delle fonti e dei tre testi, che molti studiosi chiamano Bermuda pamphet e che sembrano riguardare apparentemente un naufragio di una nave, dove si dice  si siano salvati per miracolo i due comandanti Sir Thomas Gates e George Summers. In questo senso si è sempre cercato un forte parallelo fra i pamphlet e la commedia, ma in realtà si deve parlare non tanto di accadimenti reali, ma una nuova visione del mondo elaborata da Shakespeare, una nuova geografia.

Se la Tempesta rimanda ad una collocazione geografica ben precisa, ovvero la colonia della Virginia, la commedia stessa allude anche al mitico estremo del mondo.

Se si nota bene, della commedia esistono tre viaggiatori, o meglio ancora tre ondate di viaggiatori. Quest’ultimi sembrano più essere gettati sulle coste che scegliere liberamente di arrivarci: in questo va visto l’archetipo di viaggiatore rinascimentale…Cristoforo Colombo si sente spinto al viaggio come ad una missione religiosa da compiere, e si scopre, poi, casualmente in una parte del mondo non prevista, una meta non scelta.

Lo studioso Agostino Lombardo ha parlato del naufragio shakespeariano nei termini non di tragica fine, ma di dolorosa rinascita; in questo senso il mare si viene a configurare agente di trasformazione e metamorfosi.

Il tema del viaggio permette di affrontare i simboli del viaggio sull’isola in modo più penetrante e proficuo, infatti subito dopo l’incipit testuale, sentiamo che Prospero che il percorso della nave naufragata è solo l’ultimo dei tre viaggi sull’isola. L’isola come ho descritto nel riassunto che ho fatto precedere da un antefatto emerge nella commedia diventando un’entità geografica attraverso il racconto della stratificazione del viaggio mitico di Sycorax, di quello coloniale di Prospero, e quello ripartitivo di Alonso.

Scrive Antonella Piazza:

Forse Sycorax veniva da Algeri. L’esitazione di Prospero accrediterebbe un’altra origine, quella evocata, secondo alcuni critici, dal suo nome che l’assocerebbe al Caucaso sul mar Nero, il limite, cioè, della colonizzazione a oriente della Grecia, violato dall’esorbitante mitico viaggiatore argonauta Giasone condannato da quel viaggio al fatale e tragico incontro con la stegonesca Medea. Secondo questa lettura Sycorax è figura del viaggiatore o del barbaro della classicità che superando, violandoli, i confini dell’oikoumene, le mura della polis ellenica, confonde le categorie, producendo indifferenziazione e tragica crisi mimetica.

Il ritorno a casa di tutti i protagonisti della commedia è significativo, parliamo allusivamente del terzo viaggio, viaggio consapevole e desiderato: il ritorno in Europa!

Shakespeare, come nel classico della letteratura epica europea fa tornare i nostri protagonisti a casa.

 

1.5. l’Importanza dell’epilogo in “The Tempest”

 

Confrontata a quella delle altre grandi tragedie shakespeariane, la conclusione di questa commedia sembra essere la più serena di tutte in quanto:

–          Prospero ritorna ad essere il duca di Milano

–          Alonso re di Napoli, ritrova il figlio e si pente del suo tradimento

–          Ariele liberato si dissolve nell’aria

–          Ferdinando e Miranda giovani e innamorati si giocano a scacchi venti regni

L’epilogo di questa commedia è il più inquietante di tutti gli epiloghi dei drammi shakespeariani.  Si tratta di uno dei più bei monologhi che Shakespeare abbia mai scritto, ma anche uno dei più tragici ed enigmatici. Prospero si rivolge direttamente agli spettatori. Il grande mago, al quale ubbidiscono tutto e tutti, la cui materia terrena è nelle sue mani, getta via la bacchetta magica con cui aveva orchestrato tutti gli eventi sull’isola, e diviene un comune mortale, come tutti gli altri.

Ora ogni mio incantesimo è finito,

e la debole forza che mi resta

è solo mia. Potete confinarmi

in questo luogo o farmi andare a Napoli.

Ma perché si priva della sua bacchetta magica?

E’ senza più magie, non può fare più incantesimi, riconosce e afferma di fronte agli spettatori la sua solitudine, la sua nudità, se vogliamo la sua bestialità che ha soppresso attraverso i suoi studi magici. Prospero non è più mago, ma è uomo pronto ad essere giudicato, nella commedia reale dagli spettatori, nella finzione da coloro che ha punito e poi perdonato, ed è addirittura lui stesso ad implorare il perdono, ora che si è liberato di tutti gli spiriti a suo comando che si erano dissolti nell’aria.

Molti studi hanno fatto rilevare che Calibano che è il secondo protagonista più importante della commedia, altro non è che la parte bestiale di Prospero, e alla luce di questa informazione nell’epilogo Prospero si sente in dovere di farsi giudicare anche per quella parte di se, che era riuscito a sopprimere grazie ai suoi studi.