Analisi e commento de “L’imbrunire” di Giovanni Pascoli. (da I canti di Castelvecchio)

Cielo e Terra dicono qualcosa
l’uno all’altro nella dolce sera.
Una stella nell’aria di rosa,
un lumino nell’oscurità.
I Terreni parlano ai Celesti,
quando, o Terra, ridiventi nera;
quando sembra che l’ora s’arresti,
nell’attesa di ciò che sarà.
Tre pianeti su l’azzurro gorgo,
tre finestre lungo il fiume oscuro;
sette case nel tacito borgo,
sette Pleiadi un poco più su.
Case nere: bianche gallinelle!
Case sparse: Sirio, Algol, Arturo!
Una stella od un gruppo di stelle
per ogni uomo o per ogni tribù.
Quelle case sono ognuna un mondo
con la fiamma dentro, che traspare;
e c’è dentro un tumulto giocondo
che non s’ode a due passi di là.
E tra i mondi, come un grigio velo,
erra il fumo d’ogni focolare.
La Via Lattea s’esala nel cielo,
per la tremola serenità.

Struttura metrica:
quartine di decasillabi, i due primi con accenti di 3à e di 9à più un altro quasi fisso, di 5à.; gli altri due con accenti di 3à 6à 9à. Le rime uniscono le quartine a coppia: ABAC, DBDC.

Breve commento

A torto si è voluto definire il Pascoli poeta delle piccole cose, dal momento che egli non ha cantato soltanto gli oggetti umili di un’esperienza quotidiana o un campestre, ma anche gli spazi sterminati dei cieli e la vicenda d’incessante metamorfosi del cosmo, quali egli era rivelata dalla scienza del tempo. In questa lirica può, anzi, essere indicato un significativo contemperamento delle due tematiche, con la riduzione del cosmico al quotidiano e con la dilatazione della vita d’un piccolo borgo a quelli degli astri. La poesia “cosmica” del Pascoli è spesso dominata dalla visione di grandi cataclismi, connessa al tema della complementarità di morte e vita, e anche un senso ossessivo della morte e del mistero, nonostante il tentativo di rigore scientifico che si ritrova, ad esempio, in un lungo poemetto dei Canti di Castelvecchio, Il ciocco. Qui, invece, si ha una percezione immediata: anche la terra fa parte del cielo, né vi è opposizione fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo: dovunque si effonde il senso della vita, e la poesia lo celebra nel palpito d’un piccolo borgo come in quello degli astri grandi e lontani. E’ una delle poche liriche pascoliane in cui l’infinito e l’immensità del cosmo assumono un carattere di presenza serenatrice.

Breve analisi del Testo

V1-4: il colloquio fra cielo e Terra nel crepuscolo è accennato dal corrispondere del primo apparire di una stella nel cielo con l’accendersi d’una prima luce nel borgo.
V5-8: il colloquio fra Celesti e Terreni è tutto di fantasia; o meglio, è una analogia che nasce dalla corrispondenza di quel primo vibrare di luci (vv3-4) e dal fatto che nel crepuscolo la terra si annera e sembra protendersi nell’attesa della notte e delle miriadi di stelle che le ridonano il senso d’una sua appartenenza al cielo, cioè alla vita cosmica.

V9. AZZURRO GORGO: il cielo stellato è visto come un gorgo o vortice dei mondi: quasi un abbisso per chi lo contempli dalla terra. Ai tre pianeti corrispondono tre finestre del borgo illuminate.

V11-15: continuano le corrispondenze: nel borgo silenzioso vi sono sette case cui sembrano corrispondere, nel cielo, le sette stelle delle costellazioni delle Pleadi. Il parallelo continua nei versi che seguono: LE CASE NERE corrispondono alle BIANCHE GALLINELLE; SIRIO, ALGOL, ARTURO: stelle rispettivamente della costellazione del cane di Perseo, di Boote.
V17-20: la distinzione fra le case e le stelle tende a scomparire: il Pascoli parla qui della vita domestica chiusa in ciascuna casa, suggerendo la possibilità di analoghe forme di vita nelle stelle sconosciute. Così, nella quartina finale, il fumo dei focolari erra fra i mondi, come la Via Lattea nella serenità dei cieli.