Analisi, parafrasi e commento di “Frutta erbaggi” di Umberto Saba (da Parole sezione de Il Canzoniere)

Erbe, frutta, colori della bella
stagione. Poche ceste ove alla sete
si rivelano dolci polpe crude.
Entra un fanciullo colle gambe nude,
imperioso, fugge via.
S’oscura
l’umile botteguccia, invecchia come
una madre.
Di fuori egli nel sole
si allontana, con l’ombra sua, leggero.

PARAFRASI
Metro:endecasillabi con qualche rima e assonanza.

5. imperioso: l’aggettivo allude al fatto che il fanciullo fa rapidamente un’ordinazione al bottegaio. Ma incomincia di qui la contrapposizione fra la forza intatta dell’infanzia di contro al tono spento della bottega, la trasformazione di questa in emblema del grigiore o della monotonia d’una vita raggelata nella banalità del quotidiano, contro l’agilità della vita che si rinnova.

Breve commento

E’ una delle liriche più essenziali della raccolta, e, al tempo stesso una di quelle che nell’apparente semplicità esprimono la complessità del mondo di Saba, e l’idea della poesia come sguardo che afferra l’oggetto nella sua autonomia, scopre in esso il balenare della vita come totalità. Si veda qui dapprima la sensazione vivida che “traduce” le cose in coscienza del mondo: le frutta e gli ortaggi come “colori” e poi come “dolci polpe crude” offerte alla “sete” dell’uomo. Già questa, che in pittura si chiamerebbe “natura morta” diviene occasione sensibile, sensoriale, di adesione al mondo. Poi c’è l’ingresso del fanciullo, con le gambe nude; l’aggettivo richiama le “polpe crude”, mediante il legame delle rime, le fonde in un’unica immagine di vitalità. Infine il contrasto conclusivo: la bottega che, dopo la partenza del fanciullo, “invecchia come una madre”, il ragazzo che s’allontana leggero nel sole. Una semplice realtà di gesti si traduce in significato: l’umile bottega, il passaggio del piccolo compratore diventano un paradigma o modello dell’esistenza. E infine il paragone fra botteguccia e madre: una reversibilità dei segni dell’esistenza che fa avvertire l’ispirazione profonda di Saba, poeta della “calda vita”, portato a unificarne le forme, come aveva fatto nei paragoni animali di A mia moglie.

Analisi, parafrasi e commento de la “Neve” di Umberto Saba (da Parole, sezione de Il Canzoniere)

Neve che turbini in alto e avvolgi
le cose di un tacito manto.
Neve che cadi dall’alto e noi copri
coprici ancora, all’infinito: imbianca
la città con le case,con le chiese,
il porto con le navi,
le distese dei prati…..

PARAFRASI

Metro: endecasillabi, tranne il 2°, il 3°, il 17° verso. Rare la rime.
3. una…pianto: è la moglie del poeta, creatura di pianto come tutti gli uomini.
4-6. la gioia della donna scopre come un tesoro allo sguardo del poeta; in quel sorriso egli vede il suo stesso desiderio d’una pace infinita.
18- gli angeli….trombe: una apocalittica visione di Giudizio universale, che accentua il carattere cosmico di questa fantasia.
19. ridesti: ridestati.

Breve commento

Durante un inverno così rovinoso da dare l’immagine della fine del mondo, il poeta vede, di notte, una donna che, affacciata alla finestra, solleva la tendina e guarda con improvvisa gioia quella visione della terra defunta. Ella sembra trovare conforto all’angoscia che indoviniamo nel suo cuore, esprimere l’oscuro anelito alla pace del nulla che è proprio di tutte le creature, affrante dal male del vivere. L’immagine finale dell’uomo che s’avventura solo sulla crosta di ghiaccio, sotto un lampione distorto, riprende la stessa impressione risolvendola in una dimensione allucinata, espressionistica.

Analisi, commento e parafrasi di “Parole” di Umberto Saba (da Parole sezione de Il Canzoniere)

Parole,
dove il cuore dell’uomo si specchiava
-nudo e sorpreso- alle origini; un angolo
cerco nel mondo, l’oasi propizia
a detergere voi con il mio pianto
dalla menzogna che vi acceca. Insieme
delle memorie spaventose il cumulo
si scioglierebbe, come neve al sole.

PARAFRASI
Metro: endecasillabi sciolti preceduti da un ternario.
3-4. un angolo…l’oasi: sono luoghi metaforici, che alludono a un’ascesi interiore, a una purificazione del poeta che soltanto protendendosi nell’ascolto d’una ritrovata innocenza o spontaneità dell’animo potrà vincere l’inganno della parola usata in una convivenza mistificata.

Breve commento

Con Parole (1933-34), il poeta cinquantenne sentì di avere “inaugurata una nuova giovanezza, o addirittura la “sua” giovanezza”: come una nuova primavera che seguì la “crisi” del Piccolo Berto, “una grande chiarificazione interna, alla quale risponde un uguale illimpidimento della forma”. Importante, soprattutto, per il suo valore di novità, l’abbandono della vena narrativa “che tanto, e tanto a torto, aveva disturbati i suoi critici”. Concludeva nella sua Storia il poeta: “Saba vecchio avrà meno cose da narrare e più da cantare”. Effettivamente da questo libro in avanti Saba si avvicina a quella che era allora chiamata “lirica pura”, anche se non abbandona la sua ricerca psicologica ed etica nelle figure consuete della sue esistenza. Per lo stile si rinvia a quanto s’è detto parlando di Cuor morituro.

La raccolta incomincia con una formulazione di poetica, che ne sottolinea la novità, più decisa rispetto a quella di Cuor morituro, come si vede anche nella ricercata “essenzialità” o concentrazione sia espressiva sia di significato. Quest’ultimo riflette un’esigenza consonante con quella di Ungaretti: il riscatto della parola dalla consuetudine che l’ha resa ormai inespressiva, ottundendone la capacità di significazione, ossia la parola come “innocenza”. Ma Ungaretti ne fa un mezzo di esplorazione-costruzione del reale liberandone la virtù analogico-creativa; Saba, resta fedele a una spinta etica e a una psicologia non d’eccezione, ma connessa alla virtù di tutti. così in questa lirica si propone di tergere da un conformismo linguistico che ne coinvolge uno morale e spirituale, le parole che in una mitica origine del mondo rispecchiavano l’autentico sentire, e al tempo stesso lo definivano, gli davano un volto, cogliendolo nella sua nudità o spontaneità esistenziale e suscitando la sorpresa con cui l’uomo scopriva ed esprimeva, nella parola, la propria essenza vera. L’opera del poeta non ha però qui nulla della “magia evocativa” del Simbolismo o dell’Ermetismo; Saba vuole purificare la parola con il suo “pianto”, affinare la propria conoscenza dell’uomo e del mondo con l’ardua ricerca etica d’una verità che soltanto il dolore e un’ansia di giustificazione lo inducono a ricercare. La sincerità della parola, per così dire, redenta potrebbe allora coincidere col crollo delle “memorie spaventose”: dei mostri che la coscienza crea riluttando alla verità e spontaneità delle pulsioni elementari della vita.

Analisi testuale, parafrasi e commento de “Il borgo” di Umberto Saba (da Il Canzoniere)

Fu nelle vie di questo
Borgo che nuova cosa
m’avvenne.
Fu come un vano
sospiro
il desiderio improvviso d’uscire
di me stesso, di vivere la vita
di tutti,
d’essere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni.
Non ebbi io mai sì grande
gioia, né averla dalla vita spero.
Vent’anni avevo quella volta, ed ero
malato. Per le nuove
strade del Borgo il desiderio vano
come un sospiro
mi fece suo.
Dove nel dolce tempo
d’infanzia
poche vedevo sperse
arrampicate casette sul nudo
della collina,
sorgeva un Borgo fervente d’umano
lavoro. In lui la prima
volta soffersi il desiderio dolce
e vano
d’immettere la mia dentro la calda
vita di tutti,
d’essere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni.
La fede avere
di tutti, dire
parole, fare
cose che poi ciascuno intende, e sono,
come il vino ed il pane,
come i bimbi e le donne,
valori
di tutti. Ma un cantuccio,
ahimé, lasciavo al desiderio, azzurro
spiraglio,
per contemplarmi da quello, godere
l’alta gioia ottenuta
di non esser più io,
d’essere questo soltanto: fra gli uomini
un uomo.
Nato d’oscure
vicende,
poco fu il desiderio, appena un breve
sospiro. Lo ritrovo
– eco perduta
di giovinezza – per le vie del Borgo
mutate
più che mutato non sia io. Sui muri
dell’alte case,
sugli uomini e i lavori, su ogni cosa,
è sceso il velo che avvolge le cose
finite.
La chiesa è ancora
gialla, se il prato
che la circonda è meno verde. Il mare,
che scorgo al basso, ha un solo bastimento,
enorme,
che, fermo, piega da un parte. Forme,
colori,
vita onde nacque il mio sospiro dolce
e vile, un mondo
finito. Forme,
colori,
altri ho creati, rimanendo io stesso,
solo con il mio duro
patire. E morte
m’aspetta.
Ritorneranno,
o a questo
Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni
del fiore. Un altro
rivivrà la mia vita,
che in un travaglio estremo
di giovinezza, avrà per egli chiesto,
sperato,
d’immettere la sua dentro la vita
di tutti,
d’essere come tutti
gli appariranno gli uomini di un giorno
d’allora.

PARAFRASI
Metro: strofe libere in cui si alternano versi di varia misura, dal ternario all’endecasillabo e liberi intrecci di rime. La “musica” è dato dall’intreccio sintattico segnato dalle pause verbali, connesse a risentite intensità di pronuncia che sottolineano i momenti intellettualmente alti o risolutivi del testo.
2. nuova: straordinaria, prima mai accaduta.
16-17. Vano: è detto quel desiderio, come ai vv. 4-5, il sospiro, ossia l’anelito verso di esso, perché è difficile avverarlo, dato la violenza della chiusura e dell’impulso individualistici. Ma conta l’averlo concepito e posto come una tensione della propria vita.
28-32. come in la brama (altra poesia di Umberto Saba), anche qui c’una sorta di ritornello conclusivo delle singole fasi di svolgimento del pensiero poetico.
40-47. l’ahimè si riferisce al fatto che il cantuccio, l’azzurro spiraglio che il poeta si riserva sono pur sempre qualcosa che isola, che impedisce un abbandono totale della gioia di essere come tutti. la rivelazione d’un giorno fu dunque limitata, ma resta pur sempre viva nel ricordo come norma di vita e di poesia.
47-59. in questa strofa e in quella che segue prevale il senso della fugacità di quel desiderio che coincise con la giovinezza e che ora vive fra i ricordi d’una vita perduta, come sembra sottolineare il mutamento avvenuto nelle cose.
69-74.il poeta dopo d’allora ha creato forme e colori diversi da quello del paesaggio incantato ove avvenne la rivelazione giovanile, ma non è riuscito ad attuare il desiderio di comunione con la vita di tutti, ed è rimasto solo con la sofferenza della propria solitudine nel mondo e davanti alla morte.
77-78. i….fiore: i giorni della primavera, che viene tuttavia nella memoria del lettore a coincidere, a questo punto, con quelli della rivelazione e della nascita della vocazione poetica.

Breve commento
Uno dei risultati migliori della nuova “limpidezza” di stile di Saba, fondata sulla “valorizzazione della parola in se stessa presa”, dietro la suggestione, anche, di Allegria di naufragi di Ungaretti, è in questa lirica, espressione d’una poetica e di un’etica strettamente congiunte. Essi racconta un momento elementare, “storico”, del definirsi della vocazione poetica dell’autore, all’età di vent’anni, sulla base d’una volontà di partecipazione alla “calda vita” di tutti e di tutti i giorni. La rivelazione avviene in un luogo preciso, fra oggetti quotidiani, che invitano il giovane a una partecipazione alla vita comune. Questo desiderio ispirerà la sua poesia come nostalgia e tensione sempre insoddisfatte, per l’impossibilità di uscire dal proprio individualismo egocentrico, ma anche come valore sicuramente intravisto e, in parte, conseguito.

Analisi e commento di “Sovrumana dolcezza” di Umberto Saba (da Il Canzoniere)

Sovrumana dolcezza
io so, che ti farà i begli occhi chiudere
come la morte.

Se tutti i succhi della primavera
fossero entrati nel mio vecchio tronco,
per farlo rifiorire anche una volta,
non tutto il bene sentirei che sento
solo a guardarti, ad aver te vicina,
a seguire ogni tuo gesto, ogni modo
tuo di essere, ogni tuo piccolo atto.
E se vicina non t’ho, se a te in alta
solitudine penso, più infuocato
serpeggia nelle mie vene il pensiero
della carne, il presagio

dell’amara dolcezza,
che so che ti farà i begli occhi chiudere
come la morte.

PARAFRASI
1-3. io so: io conosco. La sovrumana dolcezza è quella dell’amore, impeto totale e totale abbandono, e per questo inesplicabile fuso con l’istinto freudiano di morte.
7. bene: pienezza di vivere, felicità
11-12. alta solitudine: profonda, ma anche, e soprattutto “nobile”, “elevata”.
13-14. il pensiero della carne: il desiderio sensuale ma d’ una sensualità inscindibile dal “pensiero”, dall’interiorità, come si accennava nella promessa.

Breve commento

La profondità dello scavo etico-psicologico di Saba dona al suo linguaggio l’essenzialità che gli altri “lirici puri” cercarono per strade diverse, soprattutto nei vertiginosi trapassi analogici. Il linguaggio di questa, che è una delle più intense sue poesie d’amore, appare inedito, nonostante la quotidianità del lessico; sono soprattutto il ritmo, l’ordine interno del discorso, legato alla scoperta dei moti elementari del cuore, a dare questa impressione. La lirica propone e supera il tema romantico e freudiano di amore e morte, come l’artificiosa divisione fra corpo e anima; coglie l’essenza dell’amore come desiderio puro, assoluto, un viversi della vita come gioia.