I Limoni: analisi, commento e parafrasi. (Eugenio Montale, Da Ossi di seppia)

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

PARAFRASI

1-3.laureati: incoronati di foglie di alloro, e cioè onorati pubblicamente. Si muovono: una delle tante forme stilizzatamente prosastiche della lirica, che già segna un contrasto ironico con i laureati. Dai…. Usati: la polemica non è formale, ma di atteggiamento etico – conoscitivo; i nomi poco usati indicano una poesia intesa ad abbellire arbitrariamente la realtà.
4-10. per me:quanto a me. Evidente la sottolineata cadenza prosastico – discorsiva, di poeta non laureato. Riescono: sboccano. Agguantano…. Anguilla: a parte la prosaicità di quell’agguantare, tutta la scena si svolge su di un registro dimesso: le pozzanghere sono, per giunta, quasi secche, le anguille sono sparute. Più oltre si parla di viuzze e ciglioni, con coerenza stilistica e figurativa. Mettono: immettono.
11-21. nella seconda strofa, e ancor più nella terza, linguaggio e stile si elevano progressivamente; l’andamento prosaico domina dunque soprattutto nella prima, con intento parodistico, anche se non è ancora qui del tutto assente. Permane tuttavia li tono discorsivo nel ritmo, dove a volte si hanno dissonanze più evidenti, come ai vv 14-20, fuori d’ogni misura consueta, ma sempre un andamento inteso a simulare un tono non elevato di discorso.
13-17. d’improvviso il paesaggio si innalza a un movimento di intensità contemplativa, che tramuta il quotidiano in presentimento e prefigurazione d’un significato ignoto; d’una presenza che per un attimo rompe la monotonia del mondo, degli atti e gesti consunti. D’altra parte si ha qui una sorta di ossimoro esistenziale: il profumo non sa elevarsi da terra, come la presenza – promessa cui si alludeva, e la dolcezza che i rami, pur amici, producono è inquieta. Divertite: rivolte in direzione opposte non coerenti né conciliabili, e che quindi sviano da ogni meta.
24. il segreto: e’un ipotesi probabilistica, per il Montale più maturo, anche questo segreto ultimo delle cose. L’ipotesi che debba esistere una loro necessità di là dalla contingenza.
25-29. talora…. Verità: La vita dell’uomo appare dominata da una ferrea necessità; una catena che vincola strettamente la libertà, un filo imbrogliato che non ci consente di uscire dal labirinto dell’esistenza. Il sogno è quello d’un “punto morto”, non necessitante, d’un varco, come lo chiamerà altrove il Montale, che ci consenta di attingere immediatamente qualche verità, di fonderci con essa. Come si vede questa verità non è un fatto razionale, ma una rivelazione improvvisa, un’illuminazione.
30-36. nasce così il sogno d’un conoscere che sia anche una più autentica forma di essere. E allora il profumo diventa presentimento d’un di là dalla contingenza instabile, suscita un nuovo slancio della mente che indaga, accorda, distingue. In questi silenzi, in questa suprema tensione, sembra quasi di ritrovare un’impronta divina nell’uomo; di riscoprirne il carattere di necessità, assicurato dalla stessa volontà indagatrice della mente, dalla sua capacità di attingere il vero. Ma si tratta di un illusione.
39. cimase: cornicioni delle case.
40-42. e’ il ritorno al tedio di sempre, di una vita di cui si ignorano ragione e scopo. Si veda la pioggia che stanca la terra, il tedio del vivere che diviene presenza folta, corposa, la luce che manca, l’amarezza che pervade l’anima: tutti segni di delusione totale.
49. le…. Solarità: analogicamente l’esplodere improvviso del giallo dei limoni si tramuta in dorato squillo della gioia solare.

Breve Analisi del Testo

Composta fra il 1921 e il ’22, questa è una delle più antiche poesie accolte nel libro, ma è già un caratterizzante formulazione di poetica, spoglia delle preoccupazioni rivoluzionarie delle avanguardie, e da inserire, piuttosto, nel solco di una tradizione “liberata”, che da Pascoli giunge a Sbarbaro. Lo scarto avviene nei confronti del gusto analogistico – simbolistico, di cui Montale accetta – e accetterà – certe lezioni sul piano espressivo, rifiutandone però la versione “musicale” allusiva, non impiantata su un’ansia di verità da conquistare attraverso un impegno intellettuale e conoscitivo. Su questa via, egli ricerca subito una solida travatura sintattica, un discorso concatenato. Se anche, alla fine, il poeta riscontrerà l’impossibilità di conoscere e di essere, e rifletterà propria in quella strenua ricerca di concatenazione, una sempre delusa ma non mai intermessa, volontà di comprendere, di ritrovare, cioè, una coerenza logica negli eventi. La lirica ha un inizio chiaramente polemico: il rifiuto dei poeti “laureati”, testimoni d’una realtà falsata, e cioè edulcorata, secondo l’attesa d’un volgo che, appunto, li laureerà in compenso della loro mistificazione. Di contro si afferma un paesaggio di trita esistenza: i ragazzi che acciuffano sparute anguille fra le pozzanghere di aree suburbane grigie, dimenticate: i piccoli orti, con gli alberi – e col profumo – dei limoni. Ma qui si attua il contatto con una vita elementare, contrapposta alla falsificazione cittadina, con un ambiente “povero”, dove la povertà coincide con la scelta dell’essenziale, con la non adulterazione di sentimenti e pensieri. La liberazione dal pregiudizio, da una civiltà artificiosamente costruita su bossi, ligustri, acanti – piante nobili per essere nobili, contrapposte a un’esistenza diseredata ma vera – consente di ascoltare la voce dei limoni, d’una natura – vita nella sua verità: di ritrovare nel loro giallo oro la creazione perenne del sole. Il rifiuto dell’estetismo dannunziano si coglie anche a livello stilistico. A un lessico non ignaro di preziosità, ma pur sempre fondato su ragioni morali e intellettuali, si accompagnano forme di voluta prosasticità, immagini “povere”, un ritmo versale frequentemente spezzato per seguire le volute d’un pensiero presentato come discorsivo, senza pretese di bandiere inedite e sublimanti verità. Un lettura della lirica nell’intero contesto della poesia montaliana rivela già fondamentali approdi ideologici e poetici; in primo luogo i riconoscimento della realtà come non conoscibile, da considerare in forma assolutamente relativistica: d’un relativismo che riconosce la problematicità d’ogni consistere, anche di quello dell’io anche della poesia. L’immagine “povera” dei limoni, che può anche essere esaltante, nella sua fugace primavera, permane un emblema per la poesia futura di Montale. Ed emblematico è il desiderio di ritrovare un anello che non tiene nella catena di necessità che cinge il mondo e le vita, non per conquistare la verità assoluta, ma una verità da conoscere e vivere, una favilla del “divino” perduto, e cioè della verità del nostro essere, del nostro destino. Per ora Montale vede ancora possibili i momenti di una grazia poetica, che diverrà sempre più difficile. Affidata alle folgorazioni d’un oltremondo sconosciuto.