Analisi e commento de “Il Gelsomino notturno” di Giovanni Pascoli. (da I Canti di Castel vecchio))

E s’aprono i fiori notturni,
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento . . .
È l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.

PARAFRASI

I gelsomini notturni (i fiori notturni), detti anche “le belle di notte”, aprono i loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il pensiero ai suoi morti. Anche le farfalle notturne (farfalle crepuscolari) iniziano il loro volo nelle ore della notte tra i viburni (altrimenti detti “palloni di neve”, perché fiori bianchi di forma sferica).Tutto tace: insieme alla notte è calato il silenzio (si tacquero i gridi, intende dei bambini): solo in una casa (là a segnare il distacco del Poeta dalla vita che si svolge nella casa) ancora si veglia: i rumori sommessi, che ne provengono paiono un bisbiglio di voci. Nel nido i piccoli dormono sotto le ali della madre (affiora l’idea rassicurante del nido, tema caro al poeta).
Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un profumo che fa pensare all’odore di fragole rosse (sinestesia: il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore rosso delle fragole, percezione visiva)
Mentre nella casa una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle fosse dei morti (ossimoro, i simboli di morte si rovesciano in simboli di vita; l’erba che nasce sopra le fosse testimonia il continuare della vita, il suo avvicendarsi alla morte).
Un’ape, che arriva, ronzando (sussurra – onomatopea), in ritardo (tardiva) all’alveare, trova tutte occupate (già prese) le cellette (simboleggia il senso di esclusione del poeta). La costellazione delle Pleiadi (Chioccetta è il nome popolare delle Pleiadi) risplende nel cielo azzurro (aia azzurra) e il tremolio della sua luce richiama alla mente l’immagine (per analogia con il nome Chioccetta) di una piccola chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini, intenti a pigolare (pigolio di stelle: sinestesia la sensazione ottica, data dalla luminosità delle stelle, evoca una sensazione fonica, quale il pigolio dei pulcini).
Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé. La luce accesa nella casa sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne (E’ chiara l’allusione agli sposi che si uniscono nell’oscurità). Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali e il fiore, nell’urna molle e segreta (il ricettacolo del fiore dove si formano i semi, simbolicamente rappresenta il grembo della sposa, ora madre), germoglia (si cova) una nuova vita (non so che felicità nuova).

I gelsomini notturni, detti anche “belle di notte”, si dischiudono nel crepuscolo estivo, per poi richiudersi all’alba. Su questa evanescente dimensione narrativa e temporale si svolge la lirica, che rinuncia a ogni forma di sintassi, di concatenazione logica, per esprimere un puro fluire senza tempo delle cose e della coscienza del poeta, abbandonata a un ritmo sommesso di sensazioni, approfondite dal respiro, intorno, della notte tranquilla. Un profumo di fiori, il vento, le minuscoli voci degli insetti, un trascorrere lento di stelle, una luce che s’accende e si spegne nella casa solitaria: questi gli elementi essenziali della rappresentazione, labili e tuttavia intensi, che si confondo nel silenzio vibrante della notte. Sullo sfondo, l’io del poeta che pensa ai suoi cari; davanti a lui una casa, dove, nella notte nuziale, sta per dischiudersi il palpito d’una nuova vita. Anche qui un’indefinita spazialità notturna, assai meno dilatata, tuttavia, in estensione che ne l’assiuolo. Il ritmo della vita è dato qui dal brulicare intorno di sussurri e movimenti infinitesimi, estesi anche al cielo attraverso le immagini delle stelle – pulcini. Per quel che riguarda il tempo, si simula una durata dal crepuscolo all’alba, ma essa resta avvolta in una sostanziale staticità e atemporalità d’un ciclo di natura. Anche qui si può segnalare un’iniziativa linguistico – stilistica: la figure retorica dell’ossimoro, o paradossale compresenza di termini antitetici. I fiori si aprono nella notte, si chiudono all’alba; simbolo della vita, si schiudono mentre il poeta pensa ai suoi morti; un lume splende nella sala e il poeta lo correla all’erba che nasce sulle fosse cimiteriali; il lume si accende e si spegne una nuova vita, nel buio, fusa col brulichio della vita intorno: s’esala un profumo e passa col vento. I simboli di morte si rovesciano tuttavia in simboli di vita: lo schiudersi nuovo di questa nel grembo della madre, cui s’allude nei versi finali, è felicità. Da figura retorica, l’ossimoro diventa schema del reale: come il gelsomino notturno si apre la notte e si chiude all’alba, così ogni vita nasce dalla morte e a essa ritorna; ma è la stessa cosa dire che la morte emerge dalla vita e a essa ritorna, nella continua e totale complementarità e reversibilità dei due termini. La vicenda lirica – autobiografica del poeta è qui nella compresenza di esclusione e di compartecipazione poetica alla vicenda della vita e della morte.