Giuseppe Ungaretti. Analisi e commento di ” San Martino del Carso”. ( da L’Allegria)

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
E’ il mio cuore
Il paese più straziato

Forma metrica:
Quattro strofe di versi liberi. I due ultimi distici sono endecasillabi spezzati.
Una serie di antitesi contribuiscono all’efficacia emozionale della poesia: i brandelli dei muri e i resti dei compagni (non è rimasto neppure tanto); i tanti amici e il neppure tanto; il cuore fitto di croci in opposizione alla desolazione del paesaggio.
Sono frequenti le espressioni negative (non è rimasto, nessuna, neppure, manca). Assente la punteggiatura.

Un paese devastato dall’artiglieria diviene l’emblema dell’annientamento che la guerra provoca nella natura e, soprattutto, nello spirito. Osserva, anche in questa lirica, le parole scarnificate, che sembrano uscire come sussulti, le pause, le forti scansioni.

PARAFRASI

Delle case di San Martino (queste: quelle del paesino di San Martino del Carso) non rimane che qualche pezzo di muro (brandello di muro: metafora che riconduce all’immagine di corpi mutilati, straziati, ridotti a brandelli).

Delle tante persone (di tanti – tanti compagni di trincea) che mi erano amiche (mi corrispondevano: con i quali vi era affinità di sentimenti perché uniti e solidali nell’esperienza della vita di tricea) non è rimasto di più (dei brandelli)

Ma nel cuore non manca nessun ricordo doloroso (croce – il cuore del poeta è un cimitero nel quale c’è il ricordo di ognuno dei compagni morti).

Il paese più straziato (l’immagine finale del cuore straziato richiama quella iniziale del brandello di muro, racchiudendo il componimento in un cerchio di dolore) rimane il mio cuore (cuore = paese – analogia. Il senso è che le case possono essere ricostruite mentre i compagni morti non possono tornare in vita).

Tema:

San Martino del Carso fa parte della sezione Il Porto sepolto della raccolta l’Allegria. La poesia, una delle più famose dell’intera raccolta, ci presenta immagini belliche molto crude: le case ridotte a brandelli, soldati uccisi dei quali non è rimasto nulla.
Il paesaggio è umanizzato ed appare massacrato così come sono stati massacrati i soldati.
L’immagine di un paese distrutto dalla guerra, San Martino del Carso, viene interiorizzata ed è per il poeta l’equivalente del suo cuore, distrutto dalla dolorosa perdita di tanti amici cari. Ancora una volta il poeta trova nelle immagini esterne una corrispondenza con quanto egli prova nel suo animo.
La lirica è di un’estrema essenzialità. Eliminando ogni descrizione e ogni effusione sentimentale Ungaretti riesce a rendere con il minimo di parole la sua pena e quella di tutto un paese.

Giuseppe Ungaretti. Analisi e commento di “Veglia”. (Da L’Allegria)

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Forma metrica:

Versi liberi. Si ritrovano i modi dell’espressionismo nell’estrema semplicità del linguaggio e nella crudezza delle immagini. Il ritmo è lento con pause determinanti per isolare le singole immagini e mettere in rilievo il significato dei vocaboli più angoscianti, evidenziando la disumanità della situazione.

PARAFRASI

Un’intera (sottolinea la pena e l’orrore per quella lunga vicinanza forzata) notte sdraiato (buttato: quasi come un corpo inerme, perché costretto a rimanere immobile in quella posizione per evitare spari che potrebbero uccidere anche lui) accanto al cadavere di un compagno massacrato (questa parola occupa un intero verso a rafforzare l’atrocità di quella morte) con la bocca contratta in una orrenda smorfia di dolore (digrignata: la deformazione dei tratti del compagno morto in una maschera d’orrore; questa immagine priva la scena di ogni eroismo), rivolta verso la luna piena (volta al plenilunio l’immagine della luna trasmette pace, serenità, in netto contrasto con l’immagine di morte e violenza della scena), con le sue mani contratte e congestionate (congestione: l’accumulamento rapido del sangue rende gonfie e livide le mani del morto – metonimia) che penetrano (penetrata – metafora) fin nel profondo dei miei pensieri (nel mio silenzio) ho scritto lettere piene d’amore (la contrapposizione tra vita e morte è totale: alla morte il poeta oppone la vita ”della scrittura” per recuperare i lontani legami affettivi e come reazione alla disperazione).
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita (vi è dello stupore da parte del poeta per questa istintiva reazione che lo porta a sentirsi tanto legato alla vita. La stupita constatazione è messa in rilievo dalla pausa che stacca gli ultimi tre versi dal resto della poesia e dalla rima al mezzo stato/attaccato).

Tema

Lirica intensissima, pervasa d’un senso allucinato della compresenza della vita e della morte nella realtà disumana della guerra. E’ Natale; il poeta, acquattato nella trincea, scrive lettere piene d’amore ai suoi cari lontani. Accanto a lui, è un compagno massacrato, ed egli si sente compenetrato dall’orrore della sua bocca digrignata, sente le mani di lui, congestionate nello spasimo supremo, penetrate quasi fisicamente nel silenzio della sua anima; e tuttavia, mentre rivive lo strazio di quella morte, si protendo con impeto elementare verso la vita. Le parole nude, scarnificate, essenziali, esprimono, col loro ritmo franto, un senso di tragicità, ma anche di riscoperta elementare della vita.

Con questa lirica Ungaretti parla di una sua allucinante esperienza di guerra. I versi descrivono una notte passata dal poeta al fronte accanto al corpo di un compagno ucciso, con il viso sfigurato dal dolore, le mani irrigidite dalla morte. La reazione del poeta è un istinto vitale irrefrenabile ed una ribellione disperata al destino di morte ed egli, pur avendo di fianco il compagno massacrato, durante la lunga notte in trincea, scrive lettere piene d’amore e dichiara un prorompente sentimento di attaccamento alla vita: non solo alla propria vita personale, ma a quella che è un bene comune, un diritto fondamentale di tutti gli uomini.
La contrapposizione vita/morte costituisce il fulcro della lirica e sullo sfondo permane la denuncia dell’assurdità delle guerre, di ogni guerra.
Fa parte della raccolta Allegria, sezione Il Porto Sepolto.

Giuseppe Ungaretti. Il porto sepolto (raccolta poetica)

Il Porto sepolto, uscito a Udine nel 1916 è la prima raccolta edita da Ungaretti e uno dei nuclei fondamentali dell’edizione definitiva dell’Allegria, in quanto comprende 33 dei 74 testi di essa, la metà dei quali giungono quasi inalterati all’edizione definitiva (1931 e poi 1942 e ’62). Da questo primo libro riportiamo le due liriche, il Porto sepolto e Poesia, che esprimono in forma conclusiva la poetica dell’autore. D’un porto sommerso, origine remota e favolosa della città natale, Alessandria d’Egitto, parlavano al poeta due amici al tempo della giovinezza: ma il porto sepolto è, per lui, simbolicamente “ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile”. Siamo dunque davanti a un mito delle origini, di quelli, cioè che celano in sé anche il senso d’un destino. Ungaretti ne scopre ora la valenza simbolica, che è dato riscontrare, appunto, nello schema ideale, assoluto dell’essere e dell’agire rivelato d’un mito. Il porto sepolto è ciò che sta sotto e, al tempo stesso, fonda, è luogo sicuro di approdo e avventurosa partenza. Può dunque alludere, come qui, anche all’”inesauribile segreto” che ogni poesia cela e, al tempo stesso, rivela, in quanto illuminazione istantanea, effimera e tuttavia fondatrice del linguaggio, del sentire, della vita dell’uomo. Per questa via, il mito ungarettiano ne incontra altri analoghi: quello di Orfeo, assai caro alla avanguardie novecentesche e, prima, ai simbolisti, che mette in relazione l’invenzione poetica con la discesa agl’inferi; o gli “abissi” di Baudelaire e dei Simbolisti. Esplorazione, scandaglio in profondità, gesto supremo e sempre frustato, a parte qualche illuminazione istantanea e folgorante, discesa nell’abisso dell’inconscio: questa idea della poesia occupa, si può dire, una stagione della letteratura occidentale, da Flaubert al Simbolismo al Surrealismo all’Ermetismo italiano.
Il primo libretto di poesie di Giuseppe Ungaretti (trentadue liriche) si intitola “Il Porto Sepolto” e viene stampato a Udine nel 1916 in soli ottanta esemplari con il finanziamento dell’amico Ettore Serra.
Nel 1919, un editore vero, Vallecchi di Firenze, pubblicherà “Allegria di Naufragi”, che, in diverse sezioni, riunirà poesie inedite, già apparse in rivista (specialmente su “Lacerba”), alcune liriche scritte in francese (già edite nel 1919 in Francia, con il titolo “La Guerre”) e le poesie de “Il Porto Sepolto”.
Nel 1923, a La Spezia, presso la Stamperia Apuana di Ettore Serra, uscirà in cinquecento esemplari e con la prefazione di Benito Mussolini una raccolta intitolata ancora “Il Porto Sepolto”, comprendente alcune poesie nuove e un’ampia scelta delle liriche già pubblicate in “Allegria di Naufragi”.
L’assetto definitivo della raccolta, sotto il nuovo e definitivo titolo “L’Allegria” verrà raggiunto con l’edizione del 1931 della Casa Editrice Preda di Milano. La novità strutturale consiste nella successione delle sezioni, ora disposte secondo un ordine cronologico progressivo. La raccolta comprende settantaquattro liriche, quasi tutte profondamente rielaborate dall’autore, instancabile nel lavoro di revisione dei suoi testi.
L’intervento variantistico continuerà nell’edizione del 1936, per la Casa Editrice Nuovissima di Roma, e in quella del 1942 per la Mondadori di Milano, con la quale si può considerare conclusa la complessa vicenda elaborativa dell’”Allegria”.
Quella del 1942 è la versione mantenuta in “Vita d’un uomo. 106 poesie 1914-1960”, alla quale ci atteniamo nella nostra ricerca sul primo nucleo de “Il Porto Sepolto”, tenendo conto di come Ungaretti abbia voluto modificare e correggere nel tempo i testi del giovane Fante-Poeta.
A proposito del titolo originario, è lo stesso poeta a illustrarne il valore complesso, referenziale e simbolico insieme.

Giuseppe Ungaretti: L’Allegria. (raccolta poetica)

L’Allegria è una raccolta di poesie pubblicata da Giuseppe Ungaretti nel 1931. Il suo titolo originario era Allegria di naufragi. La maggior parte dei testi poetici esprime soprattutto i sentimenti nati dalla esperienza della Prima guerra mondiale, come dolore ma anche come scoperta dei valori più autentici di fratellanza ed umanità.
L’Allegria” che dà il titolo al libro fin dall’edizione del 1919 (Allegria di naufragi), è, spiega il poeta, “l’esultanza che l’attimo, avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può strappare al tempo, l’amore più forte che non possa essere la morte. E ‘ il punto dal quale scatta quest’esultanza di un attimo, quell’allegria, che quale fonte non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare”. E’ dunque, un sottrarre la vita alla fuga e al declino del tempo: un presentimento dell’eternità nell’attimo, in cui la poesia diviene scoperta e coscienza elementare dell’essere. Ungaretti, con questa definizione, non intendeva configurare una filosofia, ma “un’esperienza concreta, compiuta sin dall’infanzia ad Alessandria e che la guerra 1914 – 1918 doveva fomentare, inasprire, approfondire, coronare”. Alessandria è presente in alcune dense liriche del libro, come memoria del primo affacciarsi alla natura e alla vita; e permarrà anche in seguito come memoria della fondazione d’una struttura conoscitiva ed esistenziale. Ma l’allegria come “volontà di vivere” nonostante tutto trova la sua forma esemplare nella condizione alienata della vita nelle trincee della grande guerra: realtà, e, insieme, simbolo della precarietà dell’uomo e della sua storia. La scoperta di Ungaretti è il suo divenire “uomo di pena” come gli altri e con gli altri: nel ritrovarsi con tutti i soldati nella brama di resistenza alla morte, in una solidarietà che è rivolta contro la guerra: quella presente e, nel contempo, quella da sempre connaturata all’esistere. All’annullamento imposto dalla guerra l’uomo oppone l’opaca ma sicura resistenza del proprio “tempo”, che è passione e desiderio di autenticità o “innocenza”, intonando la propria sulla vitalità cosmica. Accogliendo lo sperimentalismo espressivo d’una generazione Ungaretti cerca una nuova “innocenza” anche nella parola. L’originale rapporto ch’egli stabilisce, oltre che col mondo, anche, e prima di tutto, col linguaggio, costituisce l’aspetto più originale del libro e la sua importanza nella storia della poesia novecentesca. Il nuovo stile abolisce ogni compiacimento eloquente, ogni intellettualismo, ogni costruzione complessa del periodo e del pensiero. La sintassi e la metrica vengono frante per lasciare emergere la parola come evocazione pura, invenzione del mondo umano; la sillabazione rallentata prende il posto delle cadenze metriche tradizionali, isolando una singola parola, a volte una semplice proposizione come “di”, e creandole intorno una vibrazione di canto, un nuovo spazio e un nuovo tempo, un senso totale di verità. Il senso è quello di un linguaggio aurorale, edenico, come edenico è il desiderio del poeta di “sentirsi in armonia”, di ritornare a essere una “docile fibra dell’universo”. Chiuso, com’egli afferma, tra cose mortali, nel dramma della guerra, che è figura dell’inautenticità del vivere contemporaneo, dell’attuale alienazione dell’uomo, Ungaretti non propone soluzioni, ma il rigore di una testimonianza: l’”allegria”, appunto, dell’armonia presentita e ritrovata nell’attimo breve della poesia, fra l’uomo e la realtà. Il costruirsi della sua lirica su versicoli brevi e intensi, su parole scavate sul profondo, appare una sorta di re- invenzione, nella poesia e nel linguaggio, della verità e della persona. Poesia diviene così un discendere in se stessi fino a ritrovare quel grumo nascosto, irriducibile , ineffabile, di essere e parola; fino, cioè, a quel punto in cui il flusso universo della vita si fa coscienza individua, e cioè parola, fondatrice della realtà umana, epifania o rivelazione, sempre fatalmente parziale, della vita profonda della coscienza e, insieme, dell’universo. La poesia ritrova, e rinnova, il linguaggio, è il rituale manifestarsi d’un mito delle origini: è idealmente, la prima parola detta dall’uomo, il suo ritrovarsi, definirsi e costruirsi nel linguaggio. “Onore degli uomini, santo/linguaggio”, scriveva in quei tempi Paul Valéry; e “vita d’un uomo” ha intitolato Ungaretti la raccolta definitiva delle sue poesie, non nel senso biografico o autobiografico corrente, ma come espressione dei momenti essenziali dell’esperienza umana. Nasce di qui la concisione, anzi la sintesi vertiginose delle poesie di Ungaretti, quel loro prescindere dalla forma narrativa o esplicativa d’idee o di sentimenti da persuadere. La sua poesia non intende esprimere dei contenuti, ma fondare delle consapevolezze attraverso l’atto del dire. Diciamo “atto” per la teatralità del dettato ungarettiano, coi suoi frequenti deittici, e tenendo presente il fatto che questa poesia intende essere presa di coscienza e costruzione dell’umano sull’oscuro e germinante caos dell’essere; un dialogo con la propria coscienza segreta. La verginità della parola comporta l’autenticità ritrovata dell’io che la scopre la pronuncia. Come s’è accennato, la raccolta si venne costituendo in un ampio giro d’anni. Ungaretti pubblicò dapprima il Porto sepolto(1916): un’opera organica, composta d’un gruppo di poesie che resteranno nella posteriore raccolta, spesso senza varianti, ripubblicata, come libro a sé stante, nel 1923. Nel ’19 apparve Allegria di naufragi, una raccolta di tutte le poesie composte sino ad allora, meno organica del Porto, ma più ampiamente divulgata e quindi entrata più incisivamente nella cultura poetica di quegli anni. Il titolo l’allegria compare nell’edizione del 1931; seguirono le edizioni del ’36, poi del ’42, tutte con varianti, e altre, fino a quella definitiva del 1969.

IN SINTESI
L’edizione definitiva dell’Allegria esce nel 1942; è la prima importante raccolta in cui Giuseppe Ungaretti riunisce, sistema e riordina le precedenti pubblicazioni che, con altri titoli, avevano contenuto le poesie che via via l’autore aveva prodotto.
La prima di queste precedenti pubblicazioni risale al dicembre del 1916 e porta il titolo Il porto sepolto, un piccolo volume pubblicato a Udine da un suo amico e commilitone, il tenente Ettore Serra. Conteneva il primo nucleo dell’edizione definitiva del 1931, comprese le poesie scritte al fronte, dal 22 dicembre 1915 al 2 ottobre del 1916. La prima poesia è Veglia (Cima Quattro, 23 dicembre 1915), l’ultima è Commiato (Locvizza, 2 ottobre 1916).
Una parte dell’opera è costituita anche da ricordi della vita civile (in Egitto e a Parigi), che però in qualche modo la guerra ha contribuito a far rievocare. I versi che compongono In memoria per esempio sono incentrati proprio su un fatto riguardante la sfera personale dell’autore in Francia: la poesia rievoca la sfortunata vita dell’amico arabo Moammed Sceab, suicida “senza patria” nel 1913, con cui Giuseppe Ungaretti aveva vissuto a Parigi, all’albergo di rue des Carmes. La poesia che dà il titolo alla raccolta del 1916, Il porto sepolto, parla di un porto, sommerso, ad Alessandria, città natale dell’autore, che doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che la città era un porto già prima d’Alessandro. I fiumi è una celebre composizione, nella quale Ungaretti rievoca, con i propri ricordi personali, i fiumi che li hanno attraversati, ossia,l’Isonzo, il Serchio, il Nilo, la Senna. Attraverso i fiumi il poeta ripercorre le “tappe” più importanti della sua vita. Pellegrinaggio esprime invece la capacità di trovare la forza interiore per salvarsi dalle macerie della guerra. In essa egli formula la nota definizione di sé: «Ungaretti / uomo di pena / ti basta un’illusione / per farti coraggio»[1].
La poesia più famosa dell’opera è Mattina (M’illumino / d’immenso)[2], scritta a Santa Maria la Longa il 26 gennaio 1917. «È la poesia più breve di Ungaretti: due parole, tra di loro unite da fitti richiami sonori. Nell’illuminazione del cielo al mattino, da cui nasce la lirica, il poeta riesce a intuire e cogliere l’immensità» (Marisa Carlà).[3] Romano Luperini ha notato come “l’idea della infinita grandezza… colpisce nella forma della luce”.[4]

Considerazioni su “L’Allegria”
In un discorso premesso a una scelta delle sue liriche, Ungaretti definisce le ragioni storiche e spirituali della rivoluzione da lui portata nel linguaggio, nella metrica, nelle consuetudini espressive della nostra lirica. Fu una rivolta morale contro i falsi miti e le pose dannunziane e la turgida retorica del Futurismo d’un linguaggio più autentico, che riscoprisse, liberandola dalle deformazioni estetizzanti, la vera vita della coscienza. Ungaretti lega questa poetica nuova all’esperienza della guerra ’15-’18, da lui vissuta come combattente, che gli fece cogliere la vita nella sua essenzialità d’amore e dolore, di angoscia della morte e di bisogno di ritrovare una fraternità umana. In tal senso, questo passo è la migliore introduzione alle liriche dell’Allegria scritte durante la guerra.

Giuseppe Ungaretti: analisi e commento di “Fratelli” (da L’Allegria)

La guerra, col sottolineare la vertiginosa contiguità della vita e della morte, col ricondurre l’uomo a un rapporto elementare con la natura, il dolore, il destino, ma anche con l’allegria della vita ritrovata sull’orlo dell’incombente vanificazione, fu un incentivo alla ricerca ungarettiana di parole essenziali, scavate nell’”abisso” della coscienza: della parola, cioè, e della poesia come conquista ardua e sofferta d’una consapevolezza totale. Ne è un esempio la lirica che riportiamo qui nelle due redazioni successive, quella de Il porto sepolto (1916), col titolo Soldato, e quella dell’edizione definitiva de l’allegria (1943) intitolata Fratelli. La parola fratelli è qui riscoperta nel suo valore primigenio, assoluto, sottratto alla vacuità del linguaggio convenzionale, indice di rapporti mistificati fra gli uomini. Il pronunciarla nel buio della notte ( e della guerra) scatena una spontanea catena di analogie. Quella parola è speranza, saluto accorato, riconoscimento d’una invitta dignità umana nella sofferenza comune, in quanto nella solidarietà del dolore e dell’amore che ricostituisce, i soldati si riconoscono uomini, non più cose sbattute dalla guerra. Le due redazioni rivelano un cammino del poeta verso un’essenzialità che sembra coincidere col ritrovamento delle parole definitive nel fondo della propria coscienza. Si osservi, in primo luogo, la partizione ritmica del testo definitivo in segmenti vagamente strofici, come a pausare un respiro dell’animo in una successione distinta e concomitante di gesti fonico – drammatici. La seconda redazione nasce, si può dire, all’insegna della concentrazione. Cadono il tono crepuscolare della “fogliolina”, il saluto/accorato, l’implorazione… di soccorso; ogni forma troppo immediatamente emotiva cede il posto a un radicale approfondimento dell’emozione che la innalza così a un piano conoscitivo. Esempio macroscopico è la grande invenzione, nel testo definitivo, dell’involontaria rivolta all’orrore del mondo disumano della guerra: una forza invincibile ritrovata nel cuore della fragilità umana, un sentimento religioso della dignità del dolore e dell’amore.

1. Di che reggimento siete
2. fratelli?

3. Parola tremante
4. nella notte

5. Foglia appena nata

6. Nell’aria spasimante
7. involontaria rivolta
8. dell’uomo presente alla
9. sua fragilità

10. Fratelli

PARAFRASI

Di che….fratelli? = Il riferimento alla guerra lo si deduce dalla prima strofa della poesia, in questa domanda rivolta ai soldati che stanno passando accanto alla postazione dove si trova il poeta con i suoi commilitoni. Fratelli = rappresenta la parola-chiave del componimento.
Parola = è riferito a fratelli; tremante = la parola fratelli vibra/trema nel cuore della notte (il tremore trasmette il sentimento della paura per l’incertezza sulla propria sorte).

Foglia appena nata: analogia – quella parola di solidarietà, fratelli, è paragonata a una foglia appena sbocciata, fragile, così come è fragile il destino dell’uomo.
aria spasimante = nell’aria che è lacerata da scoppi, spari e lamenti.
involontaria rivolta = [la parola fratelli suona come] ribellione spontanea/istintiva all’orrore della guerra.
presente…fragilità = di ogni uomo consapevole della propria fragilità (cioè della precarietà della sua esistenza).

Tema: La poesia Fratelli in origine si intitolava Soldati (sia nella raccolta Porto sepolto del 1916, sia in Allegria del 1919), nel corso degli anni fu rimaneggiata più volte fino alla stesura definitiva nell’edizione del 1942 dell’Allegria.
Verte su uno dei temi fondamentali del primo Ungaretti: la “fraternità degli uomini nella sofferenza”, nel caso specifico è la fraterna solidarietà che lega i soldati nella condizione di fragilità imposta dalla guerra. Gli uomini legati dal comune destino di morte si uniscono nel comune sentimento di precarietà non solo legato alla situazione contingente ma riferito anche alla condizione umana nel suo complesso. La solidarietà rappresenta l’istintiva reazione (involontaria rivolta) alla constatazione della precarietà umana.
Forma metrica: Cinque strofe di versi liberi. Non essendovi che un solo verbo (siete al v.1) la centralità viene assunta da sostantivi e aggettivi che si affiancano l’uno all’altro.
Dal punto di vista stilistico, Ungaretti rende il linguaggio estremamente suggestivo attraverso l’uso di termini essenziali ed immediati. Poche parole scarne e crude e un termine che scandisce tutta la lirica : fratelli, ripetuta all’inizio e alla fine della lirica.
Spazi bianchi, scomposizione dei versi e pause servono a dare rilievo al valore delle poche e scarne parole utilizzate.