Analisi e commento di “potessi almeno costringere” di Eugenio Montale (da Ossi di seppia)

Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare:
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite

PARAFRASI

1-5. ritmo stento: ritmo stentato. Vaneggiamento: moto e voce senza apparente direzione e fine. Balbo: balbettante.
6-10. il poeta sognava un tempo di rubare al mare le sue parole, di giungere, cioè, a un linguaggio nuovo, in cui natura e arte coincidessero. Queste avrebbero dovuto aiutarlo a esprimere la sua malinconia di fanciullo invecchiato che non avrebbe mai dovuto pensare, ma avrebbe dovuto mantenere l’antica indifferenziazione fra sé e le cose. Nell’immagine del fanciullo invecchiato c’è ancora un’eco vagamente crepuscolare.
11-14. lettere fruste: parole logorate dall’uso. E… letteratura: la parola, “amore”, il cui pieno significato è oscuro,e che, non appena pronunciata, si banalizza, perde la sua intensità e complessità, diventa letteratura “lamentosa”, perché accompagnata, nella poesia fino a oggi, da sospiri e lamentazioni. L’uso letterario ha, cioè, privato la parola della sua significazione vera.
16. pubblicate: di malaffare; ma c’è forse un giuoco di parole; si tratta di termini ormai divulgati al punto di essere ormai vieti.
18-20. frasi stancate: per la loro usualità, che subito potranno essere saccheggiati da poeti mediocri che si esprimono in versi legittimati dalla tradizione, e dunque veri nel senso di regolari.
21-24. il rombo del mare, la sua voce inconfondibile, che è anche perenne rivelazione intuitiva, dissolve pensieri e lamenti del poeta, che, per un attimo, riesce ad identificarsi con esso, perdendo il senso doloroso del limite.

Breve commento

Situato al penultimo posto della sillage Mediterraneo, questo testo ne esprime, nella forma più compiuta, la poetica, che è poi anche quella generale degli Ossi di seppia: la ricerca – avvertita come impossibile e tuttavia perseguita con uno slancio che ha sapore di nostalgia – d’una parola autentica, di un’espressione assoluta, totale, capace di attingere l’essenza inconoscibile della vita. “Volevo – scrisse anni dopo Montale – che la mia parola fosse più aderente di quella di altri poeti che avevo conosciuto. Più aderente a che? Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo. L’espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel filo, un’esplosione, la fine del mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite irraggiungibile. E’ la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non programmatica”. Si potrebbe considerare la lirica come la drammatizzazione di questa poetica. Montale vorrebbe – e non può – creare una lingua e uno stile capace di cogliere l’essenza delle cose, di quel mare che è espressione totale e profonda della vita. O meglio, dato che, a suo avviso, le cose rifiuterebbero di per sé un nome, un principio di individuazione fuori del tutto di cui non sono che manifestazione o parvenza esterna, vorrebbe cogliere il messaggio segreto nascosto dal “rombo” del mare; vorrebbe parole “salmastre”, fatte della sostanza del mare, in cui natura e arte fossero perfettamente fuse. La cosa importante, a questo punto, è che egli evita le seduzioni della letteratura, per usare un lessico vicino al quotidiano, con una ricerca di elementarità che rispecchi un’adesione alle cose, nell’attesa umile d’una rivelazione più intima. Lo stile spoglio e dissonante corrisponde all’oggetto: alla ricerca di un’armonia forse impossibile.