I poeti giocosi

I POETI GIOCOSI: caratteristiche tematiche.

Al di là delle differenze di talento, i poeti giocosi furono quei poeti che rimarono contenuti realistici e concreti e con uno stile medio o comico.
Non in ordine di importanza troviamo Rustico Filippi nato a Firenze tra il 1230 e il 1240 e morto tra il 1291 e il 1300, Cecco Angolieri nato a Siena nel 1260 e morto a Siena nel 1260, Meo de’ Tolomei, Siena 1260- Siena 1310, Folgore da San Gimignano (1270-1332) e Cenne da la Chitarra la cui nascita è difficile da datare, mentre pare sia morto nel 1336 ad Arezzo.
Quest’ultimi impiegarono per esprimere i loro contenuti sempre il sonetto per sua natura colloquiale e meno vincolato ai temi amorosi.
Tutta la produzione dei ‘giocosi’ nacque tra Firenze Siena, Arezzo e Lucca, ma presto fu esportata a Treviso, Perugia, Roma.
Quali furono i loro modelli? Non si tratta di una novità assoluta, i rimatori presero spunto dalla poesia in lingua del sì, che coltivava contemporaneamente sia il filone tragico che quello popolareggiante.
Nello specifico quali furono i contenuti che i ‘giocosi’ trattarono? Senza ombra di dubbio la comicità, ma anche una ribellione che proviene dalla quotidianità, quindi l’esaltazione del gioco, dei piaceri (molto presente in Cecco Angiolieri) del denaro. Finanche un diverso modo di concepire la donna, diverso da quello degli stilnovisti, e in contrapposizione con la lirica cortese.
L’attenzione per il filone comico, nella toscana di fine duecento si conquista un ampio spazio e si emancipa da quella illustre, raggiungendo con Dante il massimo dell’eccellenza.
E il periodo in cui si diffonde lo stilnovo, ma la corrente giocosa non si sviluppa solo per riflesso di quella aulica, ma esiste fra lo stilnovo e i giocosi un rapporto dialettico.
L’esempio è il motivo ricorrente della donna come porta diaboli , concentrato di tutti i vizi e gli inganni, o alla satira sulla turpitudine fisica delle vecchie, e sull’insolenza, la sciatteria, la prepotenza e l’infedeltà delle mogli. E’ evidente la netta contrapposizione tra questo modello femminile e quello proposto dalla poesia cortese, che culmina nell’immagine della donna angelo.
Una bella riflessione appare quella fatta da alcuni filologi contemporanei, ovvero il modello femminile dei ‘giocosi’ anziché evocato per antitesi al modello femminile stilnovistico, è un modello che gli preesiste, che gli si affianca.
Diversa poi, nelle due correnti la qualità del rapporto amoroso: tutto spirituale e ideale, basato sulla sofferenza nell’etica cortese; tutto fisico e sensuale, appagante, goduto con disinvoltura nell’esperienza comica.
Le due rappresentazioni dell’amore coesistono di fatto anche all’interno della lirica di registro ‘alto’
Dell’amore sensuale e gioioso offre cospicui esempi anche la poesia goliardica, con la quale i giocosi condividono parecchi e ben noti topoi:
– invettiva contro l’ostilità della Fortuna
– celebrazione del denaro
– esecrazione della povertà

Tutti questi motivi ricorrono nella poetica di Cecco Angiolieri. In Cecco troviamo infatti, il lamento sull’indigenza che si collega all’invettiva contro il padre, e dove trova voce l’infelice storia d’amore con Becchina.
Cecco di sé ci fornisce un ritratto di poeta ribelle, dall’esistenza sregolata, che i pochi documenti rimasti su di lui sembrano curiosamente convalidare.
Ancora su Angolieri, attorno al poeta si affollano personaggi del mondo cittadino, popolani e borghesi, attori tratti talora di animate scene di vita quotidiana, di brevi storie che sono vere e proprie novelle. Al genere novellistico appartengono movenze e motivi narrativi, così come certe descrizioni caricaturali, o l’uso dei soprannomi, o ancora a livello formale, la propensione per il dialogo, la sintassi colloquiale, il lessico corposo, le aperture dialettali. E come nelle novelle, in particolare nel Decameron, anche qui l’attenzione per la realtà concreta non può limitarsi gli aspetti meno nobili, ma più comuni dei sentimenti, della realtà e della vita sociale, e deve anche contemplare il modo di vivere più raffinato e cortese.
La produzione di Cecco Angiolieri consta di 128 sonetti, sulle cui tematiche si potrebbe dibattere a lungo ma che grazie al lavoro filologico ed incessante di pochi studiosi ormai sono note:
– il gioco
– la passione per il vino
– la taverna
– lo sviscerato e tribolato amore per Becchina
Che tipo di poesia ne deriva? Come abbiamo già accennato in generale per i poeti comico-realistici alcuni tratti sono più marcati nel poeta senese. Innazitutto va esplicitato – ed è differenza molto importante a livello metrico-stilistico – che a differenza del suo gruppo egli fa anche uso della parodia.
Vi è poi il mondo popolare, quello dei mercanti, degli artigiani, vi è il mondo reale insomma, quel mondo che con tanta parsimonia aveva cercato di descrivere Boccaccio. E proprio Boccaccio lo inserisce nella quarta novella della nona giornata.
I personaggi che Folgore fa muovere fondendo ispirazione realistica e gusto aristocratico, hanno si uno sfondo idilliaco degli svaghi (giochi e conviti), ma racconta anche scene di caccia. In questo rimatore l’attenuazione del realismo e della corposità, rispetto allo standard della scuola, emerge grazie alla produzione di circa 32 sonetti scritti tra il 1308 e il 1316, quelli più famosi sono le due corone.
Postilla: per quanto riguarda le date, non si ha mai la certezza in quanto si tratta di documenti di circa ottocento anni fa, sicché i problemi che ne conseguono nell’individuazione delle date sono molteplici, o meglio ancora tentare di risalire attraverso due criteri portanti della filologia: quello meccanico-probalistico e quello linguistico – formale non è mai cosa semplice, e pochi sono i filologi che riescono a compiere tali studi.

Rustico Filippi: analisi e commento del sonetto “ A voi che ve ne andaste per paura”

Oi dolce mio marito Aldodrandino,
rimanda ormai il farso suo a Piletto,
ch’egli è tanto cortese fante e fino
che creder non déi ciò che te n’è detto.
E no star tra la gente a capo chino,
ché non se’ bozza, e fòtine disdetto;
ma sì come amorevole vicino
co noi venne a dormir nel nostro letto.
Rimanda il farso ormai, più no il tenere,
ch’è mai non ci verrà oltre tua voglia,
poi che n’ha conosciuto il tuo volore.
Nel nostro letto già mai non si spoglia.
Tu non dovéi gridare, anzi tacerw:
ch’a me non fece cosa ond’io mi doglia.

Si tratta di un sonetto con schema rimatico ABAB; ABAB; CDC;DCD.
E’ una donna che parla in questo sonetto, una donna che parla al suo marito. Si tratta di Aldobrandino. Aldobrandino dovrebbe essere nella realtà il guelfo di Bellincione, mentre per ciò che concerne Piletto al verso secondo, si dovrebbe trattare di un notaio e giudice fiorentino.
Nel sonetto si parla di un tradimento o di un presunto tradimento della donna al marito, tale Aldobrandino. La donna cerca di calmarlo, di persuaderlo a non dubitare di lei. Nei primi quattro versi esorta proprio Aldobrandino di rimandare il “farso” (una sorta di corpetto da indossare sopra la camicia e che non si toglieva se non per spogliarsi, dimenticato in casa di Aldobrandin dall’amante della moglie, evidentemente dopo un incontro amoroso e una partenza frettolosa) a Piletto in quanto non è stato lui a compiere il misfatto. Da notare al verso 3 le due parole “cortese “ e “fino” sono termini chiave del lessico trobadorico e della lirica amorosa delle origini.
Gli dice di non vergognarsi quando si trova in mezzo alla gente, perché non è un cornuto, e lei smentirà sempre questo fatto. Il messaggio è esplicito nei versi 5 e 6: “ e non star tra la gente a capo chino/ ché non se’ bozza, e fòtine disdetto”.
Nei più tragicomici dei sonetti, la donna dice ad Aldobrandino che semmai Piletto fosse entrato in camera lo avrebbe fatto come un vicino affezionato.
In effetti nel sonetto sono presenti molti doppi sensi, e Rustico Filippi gioca proprio su questa ambivalenza, ambiguità sai nei costrutti, nel lessico, che nel mero messaggio dei contenuti. Un messaggio rivolto al marito, e un messaggio rivolto al lettore. E proprio in questa duplice funzione del sonetto che si riversa tutta la comicità del sonetto, perché il lettore deve per quanto abbastanza esplicito afferrare come siano andate le cose effettivamente.
E infatti nella terza strofa (prima terzina) se da una parte la donna continua la sua opera di persuasione cercando di far consegnare il farsetto dato che Piletto ha capito la volontà di Aldobrandino.
Il picco tragicomico è raggiunto nell’ultima terzina quando la donna dice al marito che non avrebbe dovuto sollevare questo scandalo, ma nel contempo gli dice che Piletto non si spoglierà più nel loro letto.
A ben pensarci sembra una novella decameroniana, dove ogni cosa, ogni elemento, ogni dettaglio concorre a mettere in scena la comicità. In linea con la poesia comico-realistica Rustico Filippi non esita a mettere in scena elementi reali quali;il letto nunziale, il “farso” dimenticato da Piletto, lo spogliarsi.

Cecco Angiolieri: analisi e commento del sonetto: “la mia malinconia è tanta e tale”.

La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, segli ‘l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pieta[de] non piangesse.

Quella, per cu’ maven, poco ne cale:
ché mmi potrebbe, sed ella volesse
guarir ‘n punto di tutto ‘l mie male
sed ella pur << I’ t’odio>> mi dicesse.

Ma quest’è la risposta c’ho da llei:
ched ella no mmi vòl né mal né bene,
e ched i’ vad’ a ffar li fatti miei,

ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ e pene,
men ch’una paglia che lle va tra ‘piei
Mal grado n’abbi Amor, ch’a lle’ mi diène

Si tratta di uno schema rimatico ABAB, ABAB; CDC, DCD.
Il mio pessimo umore, “malinconia”, (trattasi di un termine raro nella produzione illustre, assente in Petrarca, frequente invece tra i giocosi, che indica insoddisfazione. Meglio melanconia come termine di origine greca sta ad indicare umore nero: nero come la bile presente nel fegato a cui si faceva risalire il mancato piacere) dice Cecco, è cosi grande che se il mio peggior nemico lo capirebbe, avrebbe pietà di me.
Invoca ancora il Cecco, che l’amata si occupi del suo dolore, delle sue pene, ma lei risponde che non gli interessa se Cecco prova gioia o pena, le interessa meno di una pagliuzza che le va tra i piedi. Lei – continua Angolieri – non mi vuole né bene né male.
Il sonetto termine con l’imprecazione, con la bestemmia: sia maledetto l’amore che mi rese succube di lei.
Ancora una volta è presente in questo sonetto un topos ricorrente della poesia lirico-cortese: la sofferenza del poeta amante è generata dall’indifferenza della donna che non prende in minima considerazione l’amore che Angolieri descrive.