Eugenio Montale “In limine”: analisi, commento e parafrasi. (Da Ossi di Seppia)

Godi se il vento ch’ entra nel pomario
vi rimena l’ ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario.

Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell’ eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.

Un rovello è di qua dall’ erto muro.
Se procedi t’ imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.

Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ ho pregato, – ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

PARAFRASI

1-5. Il pomario(un frutteto) è luogo di memorie, dunque di conservazione di reliquie o resti d’un passato perduto. D’improvviso un colpo di vento vi riconduce il flusso della vita, come potenzialità che si dischiude di nuovo, come natura che si continua a vivere anche nell’uomo, di là da ogni delusione esistenziale. Qui la vicenda biografica è calata dal poeta nel correlativo degli oggetti evocati.
6-9. continuano i segni favorevoli: un frullo come d’ali, che è lo scuotersi delle radici della realtà, tramuta il pomario da reliquiario in crogiuolo: il recipiente in cui si formano i metalli per imprimere loro una forma. Il sussulto di speranza diviene incentivo a una nuova invenzione dell’esistenza.
10-14. Un…. Muro: l’orto è circondato da un muro erto, che nella poesia monta liana significa l’impossibilità d’ogni slancio del pensiero e della vita di là da esso. Al di qua del muro c’è soltanto il chiuso tormento di una memoria che concresce su se stessa come sentimento della perenne vanificazione di ogni atto, di ogni sogno, di ogni speranza. Solo procedendo oltre, solo, cioè abbandonando il torpore della memoria si può forse trovare un fantasma salvifico. Probabilmente quest’immagine del fantasma allude alla precarietà d’ogni salvazione, all’ambiguità dei segni che sembrano annunciarla. Dietro il muro, nel rovello e dunque nel viluppo di memorie, si compongono storie e gesti del passato, cancellati poi dalla memoria per confluire nel giuoco del futuro. Il futuro appare pertanto come un ripetersi in variate combinazioni,ma pur sempre vane, della vicenda passata. Esso è, insomma, la vita di sempre: un insieme di mosse conosciute, un destino inerte, privo di reale invenzione e di libertà.
17-18. sete: la brama sempre insoddisfatta di liberazione, ruggine: il rovello di restare prigioniero d’un passato e d’una assenza di speranza.

Breve Analisi

La lirica, scritta forse nel ’24, quando il libro si veniva costruendo, fu posta all’inizio per presentarne la tematica profonda. Il paesaggio – il pomario – allude a una vita chiusa in un cerchio immutabile, fra una rete di confine difficilmente valicabile e un viluppo di memorie, spente, che della vita segnano il continuo dissolversi e perdurare solo come angosce di tempo perduto. Forse è ancora possibile incontrare un evento insperato, inatteso che porti la salvezza; ma questo potrà essere soltanto il ritrovamento d’una maglia rotta che consente di fuggire da una vita in autentica, ferma come un destino. Il poeta parla a un’immagine di donna viva nella sua coscienza; per lei invoca la salvezza, di cui dispera per sé. Fuor di metafora: soltanto l’amore può rompere la catena di atti e gesti vani e in autentici che chiamiamo vita; ma esso è ancora una possibilità per la donna, non per il poeta, che non sa o non può trovare la forza per un riscatto. La situazione si ripeterà anche nei due libri successivi, sospesi fra una disperazione arida e impeti di speranza, affidati a figure femminili che assumono un compito salvifico, sempre, tuttavia, precario.