La scuola siciliana: tematiche, peculiarità linguistiche e metriche dei componimenti dei poeti siciliani.

Si tratta di rimatori che lavorarono perlopiù sotto la corte di Federico II re di Sicilia dal 1198 e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1220. Il suo impero fu caratterizzato da una cultura plurilingue dove s’intrecciano elementi greco-bizantini, arabo e latini.
Dall’elite di amministratori che si circondò Federico di Svevia provengono i rimatori, alcuni proprio nativi della Sicilia, altri provenienti dal continente.
L’etichetta di “scuola siciliana” e/o “siciliani” sta ad indicare e a sottolineare gli aspetti di uniformità e compatezza della loro poetica.
Attinsero da pochi modelli come la poesia trobadorica e la tradizione lirica in volgare di maggior prestigio, ragion per cui temi, stile, tecniche e metrica sono pressoché uguali a tutti i poeti siciliani. L’imitazione non è mai riecheggiamento, ma diviene la ripresa di testi e autori precisi con un interesse spiccato per i provenzali attivi alla fine del 1100 e l’inizio del 1200.
Giacomo da Lentini, Jacopo Mostacci, Pier de la Vigne, Guido delle Colonne, Rinaldo d’Aquino, Stefano protonotaro, Mazzeo di Ricco, Cielo d’Alcamo, sono i rappresentati di maggior prestigio di questa scuola.
I poeti federiciani operano una rigida soluzione contenutistica e scartano come vedremo la lingua d’oc, sostituendola con un siciliano illustre, plasmato sul modello latino e provenzale.
Alla base della scelta di un certo tipo di lingua che caratterizza i versi dei poeti siciliani, va sottolineato il fatto che si tratta di una scelta aristocratica e colta, poiché il volgare non diviene lo strumento per raggiungere un pubblico vasto, ma un pubblico raffinato all’interno di una cerchia ristretta che coltiva la lirica come evasione e svago, quando la professione glielo permette, perché i rimatori non erano tali di professione, ma si trattava di notai, giuristi, avvocati, filosofi, dotti e consiglieri.
Dopo un ventennio di attività, nessuno accoglie la loro eredità. Gli anni in questione sono quelli che vanno dal 1230 al 1250, anno tra l’altro in cui muore Federico II.
Si parlava proprio delle scelte linguistiche. La difficoltà consisteva nel dover creare una lingua poetica duttile e nobile in grado di sostituire degnamente quella originale.
Comunque sia, se noi possiamo oggi studiare i poeti siciliani risalire alle caratteristiche dei contenuti dei loro versi nonché alla stilistica delle loro poesie, lo dobbiamo al filologo cinquecentesco G. M. Barbieri, che conservò i documenti originali.
Continuando il discorso linguistico nel corso del tempo si è messa in discussione la sicilianità dei componimenti, questo perché se una parte dei manoscritti ci sono pervenuti in maniera originale, un’altra parte, o meglio il resto del repertorio della scuola è pervenuto nella veste linguistica più o meno toscanizzata dei tre maggiori canzonieri duecenteschi, messi insieme tra Lucca, Pisa e Firenze, dove l’interesse per la nostra prima lirica si tradusse, anche, nella compilazione di raccolte antologiche che conservarono e diffusero il patrimonio siciliano.
Facevano notare alcuni studiosi che vi era la tendenza dei copisti a rappresentare il carattere interregionale della lingua siciliana, ma va riconosciuta alla lingua la dignità di lingua letteraria con tratti peculiari linguistici che dopo vedremo nei componimenti.
Per ciò che concerne le tematiche abbiamo parlato di drastica riduzione dei temi? Ma rispetto a chi? Alla poesia trobadorica. Non più argomenti politici, e morali. Il motivo peculiare è l’amore, il rapporto amoroso come metafora feudale; il tema della superiorità e raggiungibilità della dama; l’amore come servizio da rendere alla dama. Sicché la centralità del tema erotico, con annesso il tema giocoso.
Ne consegue che anche il livello metrico e stilistico ne risulta mutato. Se si affrontano temi politici e morali nonché satirici è opportuno usare alcuni stilemi e un lessico diverso da quando si fa una poesia d’amore. Insomma il concetto è quello. Il principale componimento usato dai poeti siciliani è la canzone. Che cos’è la canzone?
Forma regolare della poesia lirica, la cui struttura è definita da una strofa detta STANZA che viene ripetuta alcune volte. La conclusione del componimento è normalmente una stanza ridotta detta CONGEDO. Nella stanza i versi sono endecasillabi o settenari. La stanza in cui prevalgono gli endecasillabi è in genere sentita più solenne di quella in cui prevalgono i settenari. La stanza a sua volta è articolata in due parti principali: la prima consta di due piedi, che sono due serie di versi dello stesso tipo e dello stesso ordine. La seconda è invece detta SIRMA e non è divisibile. Il risultato dell’insieme è una stanza tripartita di PIEDI E SIRMA. Il CONGEDO riprende la forma degli ultimi tre versi della stanza, in accordo con la regola più antica, secondo cui esso riprende esattamente la parte finale della stanza per un n° di versi a piacere.
Questa diciamo è la definizione generale seppur difficile da individuare, si distingueranno poi nel corso del tempo vari tipi di canzoni con vari tipi di stanze, di versi, e varie architetture. Ad esempio nei PIEDI la lunghezza dei versi in Petrarca è da due a quattro, in Dante da tre a sei, nella canzone del trecento da due a cinque.
Ritornando ai poeti siciliani, e al componimento poetico della canzone, con i poeti siciliani scompare la TORNADA cioè quella parte del componimento che ospita i dati concreti.
Altro elemento di novità è la scomparsa dell’elemento musicale i quali avendo loro delle basi retorico-giuridiche, sono soltanto scrittori e non più cantori. Il binomio poesia-musica è una caratteristica della poesia trobadorica. Tra i più amati poeti trobadorici ricordiamo Folquet de Marselha.
Consistenza del patrimonio letterario della scuola siciliana: sono circa 150 i componimenti, di cui una trentina anonimi, e i restanti distribuiti fra 25 rimatori.
Probabilmente il vero iniziatore del movimento fu Giacomo da Lentini (1210-1260), molto apprezzato tra l’altro da Dante. La sua produzione consta di 38 componimenti fatto di canzoni, canzonette, sonetti (a lui si attribuisce l’invenzione del sonetto) ed un solo discordo.
Cosa possiamo dire di importante di Giacomo da Lentini?
Si è detto che molto probabilmente fu lui l’inventore del sonetto, la sua produzione letteraria consta infatti di 16 canzoni, 22 sonetti tra cui il celebre tenzone con Jacopo Mostacci. Tutti componimenti letterari dedicati all’amore, un amore che è cortese, e che appartiene alla tradizione cortese.
Il ruolo di caposcuola gli fu attribuito da Dante, proprio perché il sommo poeta vide riassumersi nella sua poetica tutte le caratteristiche della scuola siciliana.
Dopo Giacomo da Lentini la personalità di maggior rilievo è sicuramente Guido delle Colonne (1210-1287), di cui ci restano solo cinque canzoni, lodate da Dante per la complessità della struttura strofica.
A Stefano Protonotaro sono attribuite tre canzoni di notevole perizia formale. Appartengono invece al gruppo dei più antichi esponenti della scuola Rinaldo D’Aquino (1227-1281) e Giacomino Pugliese cultori sia del registro aulico sia di quello medio, dai toni realistici e colloquiali. Rinaldo è ritenuto poeta fra i più provenzaleggianti e legati allo schema del vassallaggio amoroso e alle convenzioni dell’ideologia cortese.
Un posto a parte merita Cielo d’Alcamo, attivo proprio negli anni di massimo sviluppo della scuola, poeta di notevole cultura e competenza metrico-stilistica, ottimo conoscitore della lirica cortese, anche transalpina. L’unico componimento noto il celebre contrasto ‘rosa fresca aulentissima’ composto fra il 1231 e il 1250 si può considerare un vero e proprio capolavoro, ma si stacca dalla restante produzione della scuola per l’uso di una strofa non lirica, per l’uso di dialettismi, gallicismi, di formule cortesi ed espressioni popolaresche.