Analisi e commento de “Il libro” di Giovanni Pascoli. (da Primi Poemetti)

I
Sopra il leggìo di quercia è nell’altana,
aperto, il libro. Quella quercia ancora,
esercitata dalla tramontana,
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora.
E sembra ch’uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d’un tratto…) sia venuto, e lento
sfogli – se n’ode il crepitar leggiero –
le carte. E l’uomo non vedo io: lo sento,
invisibile, là, come il pensiero…
II
Un uomo è là, che sfoglia dalla prima
carta all’estrema, rapido, e pian piano
va, dall’estrema, a ritrovar la prima.
E poi nell’ira del cercar suo vano
volta i fragili fogli a venti, a trenta,
a cento, con l’impazïente mano.
E poi li volge a uno a uno, lenta-
mente, esitando; ma via via più forte,
più presto, i fogli contro i fogli avventa.
Sosta… Trovò? Non gemono le porte
più, tutto oscilla in un silenzio austero.
Legge?… Un istante; e volta le contorte
pagine, e torna ad inseguire il vero.
III
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia; tra un errar di tuoni,
tra un alïare come di chimere.
E sfoglia ancora, mentre i padiglioni
tumidi al vento l’ombra tende, e viene
con le deserte costellazïoni
la sacra notte. Ancora e sempre: bene
io n’odo il crepito arido tra canti
lunghi nel cielo come di sirene.
Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,
invisibile, là, come il pensiero,
che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti,
sotto le stelle, il libro del mistero.

Struttura metrica:
Terzine dantesche divise in tre strofe di 13 versi ciascuna.

Analisi del Testo
V1-2: SOPRA…LIBRO: Il paesaggio fisico e simbolo, della poesia è già qui indicato nei suoi tratti essenziali: un leggio di quercia, un libri, una loggia aperta ai venti nella parte più alta della casa (altana), sulla quale già s’intravede un ampio spaziare d’orizzonti. Poi, entrerà in scena l’uomo, il personaggio muto. Non c’è determinazione di tempo (solo più avanti si parlerà di “vespro”) ma sentiamo che l’atmosfera è quella della notte, il tempo del “mistero”.
V2-6: La quercia di cui è fatto il leggìo viveva, nella selva dalle fronde risonanti al vento, scossa (esercitata) dalla tramontana, e il libro era già antico. Ora, aperto, sembra ascoltare il rumore incessante del tarlo. Cominciano qui ad addensarsi i simboli: il libro è quello dell’universo, ed esiste da sempre, prima ancora della quercia (la natura) di cui è fatto il leggìo; il tarlo è il tempo, nel suo scorrere incessante. Il fascino maggiore di questi versi è più che nei singoli oggetti simbolici nell’atmosfera suggestiva che li circonda e li sfuma, nelle pause e negli improvvisi silenzi, in quegli imperfetti indefiniti, senza tempo, nell’armonia imitativa delle parole.
V7-12: E sembra…Carte: sembra che uno (l’uomo, l’umanità) giunga improvviso sull’altana e sfogli il libro, cercando una parola rivelatrice. Come e donde sia giunto, il poeta non sa: non sa cioè nulla dell’origine dell’uomo, né di quella sua essenza che lo spinge a cercare un perché delle cose: è un mistero che la scienza non sa spiegare. V11 IL CREPITAR LEGGERO: il rumore (evocato dal suono delle stesse parole) ricorre come motivo conduttore per tutta la poesia e approfondisce per contrasto, l’atmosfera di silenzio intorno.
V12-13: il poeta non vede l’uomo, ma lo sente. Non si tratta di presenza fisica, ma dell’essenza spirituale dell’uomo, del suo pensiero proteso nell’incessante ricerca.
V27-39: la visione s’allarga. Attorno alla solitaria ricerca si apre un vasto paesaggio, di cieli, di stelle, dove a tratti sembrano aleggiare favolose chimere. Il Pascoli allude alle angosce, alle illusioni, ai sogni, attraverso i quali si svolge la ricerca umana. Quel paesaggio sembra la suggestione dell’ignoto, presentita dall’uomo e tale da dargli continuamente il fascino del mistero, spingendolo a proseguire la ricerca. V27-28 AL VESPRO…ROSSEGGIA: al tramonto che si tinge di rosso affanciandosi fra nere nubi temporalesche. V29: forse le nubi assumono forme di animali favolosi, le chimere, che volteggiano alate nell’aria. Ma certo il Pascoli ha pensato anche al significato della parola “chimere” (illusioni). V30-33 E SFOGLIA…NOTTE: le tenebre si diffondono come immense tende (padiglioni) gonfiate dal vento. Le costellazioni appaiono solitarie, deserte, perché sperdute nell’immensità degli spazi. Sacra è la notte per la sua tenebra arcana. V34: CREPITO ARDITO: il crepito dei fogli. “Arido” ha prima di tutto un valore fonico evocativo, ma allude forse anche all’infruttuosa ricerca. V34-35: I CANTI LUNGHI: assomigliano all’aliare delle chimere. Sono le suggestioni che ci giungono dall’ignoto. Le sirene incantavano i marinai col loro canto.

Commento al Testo

La poesia è costruita su una trama chiaramente allegorica: fin dalla sua comparsa nel mondo l’uomo cerca di decifrare il libro dell’universo, per trovare una spiegazione alla vita propria e a quella del cosmo. Invano, che la ricerca affannosa approda soltanto alla coscienza d’un mistero inconoscibile. Il valore della lirica non sta nel concetto in sé, ma nell’atmosfera arcana che l’avvolge e che rende il mistero presenza inquietante. Poche le determinazioni descrittive di questo dramma metafisico: una loggia, un leggio di quercia su di un’altana, un libro aperto; e intorno il soffio vasto del vento, uno spaziare immenso di costellazioni deserte e lontane. Ma attorno a questi simboli definiti è tutto un fluttuare di suggestioni ineffabili; un palpitare di silenzi, una musica evanescente, eco veramente dell’ignoto. Da esso vengono voci arcane, che parlano nelle oscure profondità della coscienza, divengono impulso a continuare la ricerca incessante e vana. Rispetto a Myricae, c’è qui, e, in genere, nel Primi Poemetti, l’ambizioni di strutture intellettuali più complesse. Tuttavia il Pascoli rimane il poeta degl’improvvisi trasalimenti, dei silenzi assorti, d’un affiorare suggestivo d’immagini.