Analisi e commento di “Lavandare” di Giovanni Pascoli. (da Myricae)

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo al maggese.

In un ora incerta d’un giorno autunnale, il poeta, nella campagna solitaria, coglie la natura intorno, le sue immagini, le sue voci: un campo appena arato, un aratro abbandonato sui solchi, lo sciacquio delle lavandaie, anch’esse parte del paesaggio. Poi tutto sfuma in un canto d’amore e di nostalgia, che è come il modularsi in una voce umana del mesto sfiorire autunnale, che già il poeta aveva colto in quel aratro abbandonato. L’autunno della natura consuona con l’effondersi di una pena. La lirica fu inserita nell’edizione del ’94.

Nel campo mezzo arato e mezzo no (mezzo grigio e mezzo nero: la metà grigia è quella non ancora arata, mentre la metà nera è quella in cui la terra è stata rivoltata dall’aratro) rimane un aratro abbandonato (senza buoi) che sembra dimenticato, nella nebbiolina (vapore: dà l’impressione di un fumo che sale dal terreno).
Il ritmo cadenzato (rima con dimenticato del v.3 – rima interna – e indica il ritmo monotono e sempre uguale del lavoro delle lavandaie) proviene dal fossato (gora) dove le lavandaie sciacquano nell’acqua i panni (lo sciabordare – onomatopea e rima interna -are) con frequenti (spessi) colpi sordi (tonfi) e lunghi canti popolari (lunghe cantilene – spessi-tonfi/lunghe-cantilene: chiasmo, sostantivo-aggettivo/aggettivo-sostantivo):
[In questa strofa (vv.7/10) Pascoli riprende quasi per intero il testo di un canto popolare marchigiano.] il vento soffia e dai rami le foglie cadono come fiocchi di neve (vento soffia e nevica la frasca – chiasmo), e tu non fai ritorno al tuo paese! Quando partisti sono rimasta abbandonata come l’aratro in mezzo al campo non arato (come….aratro: similitudine; maggese: campo lavorato in maggio e lasciato poi a riposo perché possa tornare ad essere fertile).

Tema: La poesia viene inserita nella terza edizione di Myricae e appartiene alla sezione “L’ultima passeggiata” ed è un quadretto di vita rustica, di vita semplice.
Il poeta ascolta il canto di un gruppo di lavandaie al lavoro nel vicino torrente. E’ un canto triste, che racconta la storia di un amore tradito e della vana attesa della donna abbandonata e della sua solitudine. La tematica trova corrispondenza nel malinconico e spoglio paesaggio della campagna autunnale e soprattutto nell’aratro che campeggia, dimenticato in mezzo al prato, simbolo di desolazione ed abbandono.
L’intento è simbolico e non descrittivo, il paesaggio, il lavoro delle lavandaie e la vicenda dell’amore infelice non sono l’obiettivo del poeta ma sono solo strumenti per arrivare al tema di fondo della poesia che è lo stato d’animo malinconico e smarrito che la situazione e il paesaggio ispirano.
Nella prima strofa prevalgono le sensazioni visive, mentre nella seconda e terza strofa prevalgono quelle uditive

Forma metrica: Madrigale con rime, composto di due terzine e una quartina di endecasillabi. Schema: ABA CBC DEDE.
Molti gli elementi del simbolismo pascoliano: le onomatopee, i richiami musicali, i termini tecnici (gora, maggese) e la frammentarietà del discorso.
La rima frasca/rimasta non è una rima perfetta ma solo un’assonanza (identità delle vocali), adottata da Pascoli per richiamare, anche attraverso la metrica, la poesia popolare, per riprodurre le forme del canto popolare e, quindi, per dare un’impressione di monotona semplicità. La poesia si caratterizza infatti per la cadenza lenta e ripetitiva, quasi una cantilena che nasconde anche un valore simbolico, vuole cioè riprodurre il ritmo del faticoso lavoro delle lavandaie. Enjambement vv.2/3 (pare/dimenticato).