Riassunto de “La critica della letteratura e le sue tecniche” di Franco Suitner, Roma, Carocci, 2004

INDICE

  1.  L’illustrazione documentaria dei testi letterari
  2.  Critica stilistica e formalismo
  3.  Formalismo e analisi della narrazione
  4.  Temi e comparazione letteraria
  5.  La letteratura e il suo ambiente di sviluppo
  6.  Tra storia e ideologia
  7.  Autore, interprete, pubblico
  8.  Il contributo dell’analisi della psiche
  9.  La filologia
  10. Il problema del giudizio
  11. Luoghi e modi della critica

 

 

 

 

Si tratta di un manuale dove vengono trattate ad ampio raggio numerose tematiche rotanti intorno alla letteratura e alle tecniche ad essa annesse. Laddove si vuole portare la letteratura a rango di vera e propria scienza, l’autore ci elenca i motivi, le critiche e i limiti di tale concezione.

I temi trattati sono vari: si passa dall’illustrazione dei testi letterari dove viene spiegato come debba essere fatta una lettura, cercando di coglierne i particolari più importanti di un’opera, passando tra l’altro per lo studio delle fonti, metodo di ricerca importantissimo in ogni epoca letteraria, per poi analizzare cosa s’intende per critica stilistica, che tipo di analisi possono essere fatte, quali sono state, e quali sono le principali correnti critico-letterarie che si sono occupate delle analisi dei testi. Suitner, scandaglia soprattutto i formalisti russi, facendo emergere i risultati a cui sono arrivati. Non manca un capitolo sul marxsismo e la critica ideologica, ed il confronto tra le varie culture dominanti, affinché il lettore possa avere una visione più lucida o meglio ancora un quadro completo su ciò che sta studiando o leggendo per passione.

Tutta la seconda parte del libro, ha come oggetto specifico la filologia, indagata a trecentosessanta gradi; o meglio la seconda parte del libro è fatta in modo tale che il profano possa poi indirizzarsi se lo ritiene necessario a studi più approfonditi, quindi pone le basi per un approccio quantomeno proficuo. Viene infatti indagato nel libro prima il rapporto tra storia e filologia, nonché poi il rapporto tra filologia e informatica: raccolta dati, analisi testuali, ecc…

  1. 1.   L’illustrazione dei testi

 

Molto importante in letteratura è l’interpretazione dei testi, di tutti i testi che hanno segnato una civiltà letteraria. L’esigenza ha le sue origini nella comprensione del testo. Si tratta, comunque, di un lavoro certosino e molto delicato in quanto richiedono sia precisione che intelligibilità. Già il fatto di dover studiare la lingua del passato, o meglio la lingua dei testi del passato e adattarla alla lingua odierna, risulta cosa assai difficile, già solo per lo scarto semantico che ne risulta.

Si prenda ad esempio una poesia del duecento, l’interprete si troverà di fronte ad una miriade di difficoltà, difficoltà che in primis vanno dichiarate dall’interprete.

Se il commento tende il lettore ad allontanarlo dal testo in quanto forte è l’interpretazione dello studioso, il discorso critico ancor di più tende a sostituire la lettura dell’opera.

Alla luce di ciò, come deve procedere un lettore quando si trova davanti ad un testo ostico?

1)    Lettura lenta con l’aiuto delle note

2)    Leggere più volte un testo

3)    Aiutarsi con il vocabolario e quindi tenerlo sempre a portata di mano

Per quanto riguarda i commenti a pié di pagina folti di richiami linguistici, a cosa servono? Questi effettivamente risultano essere molto utili, ad esempio per esercitarsi nella grammatica, nell’esame stilistico, in quello storico, ma sono dannosi o possono essere dannosi in quanto per il lettore meno esperto portano ad un non corretto apprezzamento di queste opere. Questi consigli valgono sia per la poesia che per la prosa.

Ancora sul commento,è necessario che esso sia equilibrato e  che rispetti i vari livelli del testo: l’illustrazione formale, quella storico erudita, e quella propriamente estetica.

Un testo può essere commentato ricorrendo a delle immagini o mettendolo a confronto con altre manifestazioni artistiche del suo tempo: musica, teatro, cinema. L’immagine, l’icona, è un ausilio molto convincente e persuasivo per il lettore che apprezza. Il suo utilizzo risulta essere potente strumento per apprendere nozioni, e aiuta sicuramente la memoria di chi deve leggere.

Ecco una parte dell’attività del critico, consiste proprio in quelle operazioni che abbiamo fin’ora descritto: il commento; il discorso critico; abbiamo visto che bisogna usare buon senso in queste operazioni per non influenzare troppo il lettore.

Ammettiamo che vogliamo saperne di più su un testo e sull’autore del testo. Cosa occorre? Si tratta delle cosiddette indagini biografiche ed erudite. Si tratta di quell’attività svolta dai critici che consiste nella raccolta e nell’elaborazione delle informazioni e dei documenti, si cerca di chiarire il contesto storico in cui l’opera è nata, in quali circostanze l’autore si trovava, e in che modo egli operava.

Sono stati i ‘positivisti’ a lavorare in questo modo alla metà dell’ottocento, in quanto ritenevano che la pubblicazione dei documenti riguardanti l’opera e l’autore, la precisazione erudita del significato dei singoli passi annessi i riferimenti storici, la raccolta minuta delle informazioni concernenti i tempi in cui un’opera è stata composta e in cui si è diffusa, potessero dare un fondamento scientifico all’opera stessa, dei dati oggettivi su cui lavorare e trarre del conclusioni, dei dati in cui l’interpretazione si riduceva al minimo.

Critiche al metodo positivista?

–         La critica non poteva limitarsi soltanto a questo tipo di lavoro, certo certosino, ma incompleto per la totale comprensione del testo;

–         I dati aquisiti – faceva rilevare Suitner – rimangono dati esterni all’opera e non riguardano se non indirettamente la forza o la debolezza espressiva dei testi;

–         Talvolta questi dati possono essere fuorvianti, in quanto si allontanano dalle dinamiche dell’opera stessa.

 

Sulle informazioni biografiche anch’esse risultano essere molto importanti, ma riguardano comunque un interesse extra letterario, o meglio ancora non sono utilissime ai fini della comprensione di un testo. Certo aiutano a capire la personalità e la psicologia dell’autore, le sue paure i suoi sentimenti, ma in che rapporto possono essere messe con l’opera che egli ha scritto? Quanto sono utili alla fine della comprensione di un testo? E’ proprio questa la critica che è stata mossa al metodo ‘positivista’.

Negli Stati uniti d’America o in Inghilterra lo studio di questi particolari è ad uno stato avanzato rispetto ai paesi latini; in Italia abbiamo invece più biografie ‘romanzate’.

Altro elemento ricorrente da parte della critica è la ricerca del dato nuovo. In questo senso, talvolta, i giovani ricercatori presi dall’ansia di produrre un risultato o una ricerca che riporti una novità di cui non si è mai parlato, si affannano nella ricostruzione degli eventi storpiandola o formulando ipotesi che non sono veritiere su un determinato testo. E’ questo un errore che non deve essere commesso, in quanto è sbagliato il concetto di partenza del critico, come esso si pone di fronte ad una ricerca, da quali intenti è animato. In questo senso Suitner è abbastanza chiaro: “ quel che dovrebbe veramente appassionare è la prospettiva di andare il più a fondo possibile nello studio e nella conoscenza, secondo uno stato d’animo che all’inizio sarà quasi di natura dilettantesca, nel senso migliore di questa espressione. E’ molto pericoloso invece che fin dall’inizio sia esclusiva l’ansia di precisare un dato, un elemento della ricostruzione, per conquistarsi una citazione nei lavori futuri, o peggio un titolo per la successiva carriera.” (pp. 19)

Altro elemento interessante quando si affronta lo studio di un testo è l’indagine sulle fonti delle opere. Si tratta di ricerche ovviamente di tipo settoriale, molto settoriale, ma che hanno la loro utilità e che ha conosciuto il momento di massimo lavoro con i positivisti.

Per queste ricerche si parte da questo presupposto: l’autore di un’opera quando scrive, o all’inizio della sua attività non può prescindere del tutto dall’esempio di chi è venuto prima di lui, non può non avere dei modelli, magari anche per allontanarsene o per differenziarsene.

Che tipo di fonti si prendono in considerazione?

a)     un autore può prendere delle notizie da testi precisi e siamo allora nell’ambito di fonti di tipo culturale;

b)    può riprendere un’espressione, un pensiero preciso da un altro autore;

c)     può essere influenzato in tutto il suo stile dal lavoro di altri, da scrittori del passato o da quelli immediatamente a lui precedenti

d)    un romanzo può essere modellato, nella struttura, nel tipo d’intreccio, nella costruzione dei personaggi, su altri romanzi precedenti, oppure è lo stile che può ricordare l’andamento, i tipi di frase, di aggettivazione.

Talvolta i sedimenti letterari che rimangono in autore che lo accompagnano per tutta la vita, al di sotto del livello della coscienza, danno vita a delle vere e proprie ricerche psicoanalitiche.

 

  1. 2.   CRITICA STILISTICA E FORMALISMO

Assume molta importanza una certa attività del critico o del ricercatore, ovvero l’analisi formale delle opere. Sebbene il concetto di forma sia ampio e dia vita a vari dibattiti nonché a vere e proprie scuole di pensiero, spesso si fa coincidere l’analisi formale di un’opera con l’analisi di tipo linguistico.

In questo senso si opera cercando di capire il lessico di un’opera, la sintassi, come le frasi sono legate fra di loro, la predilezione per alcune strutture grammaticali, si può finanche notare la frequenza di certi costrutti e figure retoriche. Trattasi questa, della critica stilistica.

Uno degli indirizzi più importanti della stilistica del novecento, è quello ginevrino legato al nome di Charles Bally. Questo filone di studi mira ad occuparsi della lingua di tutti, e addirittura si spinge oltre: la forma con cui esprimiamo il nostro messaggio diviene oggetto di studi per capire la propria individualità, i propri sentimenti, i propri slanci affettivi. Alla luce di ciò va esplicitato che la critica stilistica parte da un presupposto fondamentale: vi è sempre una comparazione tra il messaggio che si vuole enunciare, e il suo codice ovvero l’insieme delle convenzioni linguistiche e stilistiche cui quel messaggio fa riferimento.

In questo senso si arriva a capire meglio le teorie ballyane. Lo studioso cercava di spiegare i meccanismi che erano alla base della forma della lingua, quindi una descrizione della lingua che tenesse conto anche e soprattutto delle varietà espressive legate agli stati d’animo, alle circostanze e alla personalità dei singoli parlanti o scriventi.

Certo è che quando si parla di critica stilistica non si può non nominare la grande famiglia stilistica di Karl Vossler e di Leo Spitzer. Se prima abbiamo parlato della scuola ginevrina, con Vossler e Spitzer si parlerà di scuola tedesca.

E’ molto importante questo assunto di Spitzer, rimasto peraltro famoso:

“a qualsiasi allontanamento dallo stato psichico normale, corrisponde nel campo espressivo, un allontanamento dell’uso linguistico normale”

In effetti sia Spitzer che Bally partono dalle stesse premesse: vi è un linguaggio usuale, comune, e poi vi è l’uso del linguaggio che fa il singolo, nel nostro caso l’autore di un’opera.

L’uso che il singolo fa del linguaggio presenta delle caratteristiche che il critico può descrivere.

Il critico per descrivere queste caratteristiche come opera secondo le teorie spitzeriane?Lavora essenzialmente sulla lettura ripetuta dei testi;

Secondo Spitzer il lettore ad un certo punto della lettura sarà colpito da alcuni particolari significativi dello stile dello scrittore: saranno quegli stilemi fondamentali che si troveranno disseminati in tutta l’opera.

E qui che interviene il critico. Leo Spitzer parla del cosidetto “clic” atto a identificare il riconoscimento di una o più particolarità stilistiche illuminanti, che possono spiegare la forza di una prosa o di uno stile poetico.

Questo stilema viene isolato dal critico, e va rivela delle nozioni interessanti sull’autore atte e rivelare la sua personalità.

La validità di uno stilema va poi riconfermato in tutta l’opera. Ad esempio un certo uso grammaticale o sintattico può rivelare una personalità caratteristica, il rapporto con il nucleo tematico ispiratore dello scrittore.

E’ essenziale quando si parla di critica spitzeriana parlare di richiami di psicologia. Molti studiosi si sono spinti oltre la critica, parlando di vere e proprie analisi psicologiche degli autori dei testi. Tuttavia, con Spitzer sia proprio nell’ambito del circolo di Vienna, sicché lo stesso si fa portatore ed erede della scuola neogrammatica di Meyer Lubke, ed è testimone della nascita della psicoanalisi freudiana.

In effetti tutta l’attività di Freud si rivela essere importante per la critica stilistica, in quanto motivo proprio della psiconalisi vi è il tentativo di svelare l’inconscio attraverso l’analisi di un testo. Alcuni disturbi fisico-mentali venivano scaricati nell’attività del parlante che di tali disturbi soffriva: ad esempio elementi dell’affettività si scaricavano sulla forma linguistica che assume a seconda dei casi degli aspetti devianti, patologici o particolari, a loro modo caratteristici.

Per riassumere: nei metodi di Spitzer e della sua stilistica importante è quel momento in cui viene individuato quel determinato tratto stilistico, la quale viene caricato di contenuti extra letterari in cui si estrinseca tutto il mondo espressivo dell’autore, non solo quello letterario.

Il critico stilistico si troverà di fronte a due strade:

1)    può scegliere di offrire una descrizione di stilemi caratteristici del suo autore, riducendo al minimo la parte di interpretazione unificante che porta a una caratterizzazione generale: la sua stilistica in questo caso sarà sostanzialmente un’analisi linguistica

2)    può offrire una descrizione classicamente tematica o psicologica dello scrittore, appoggiandola a rilievi stilisticim e questa volta il suo studio penderà verso il versante contenutistico.

 

 

 

 

  1. 3.   IL FORMALISMO RUSSO: l’analisi tecnico-formale e i suoi limiti

Proseguendo il discorso sulla critica stilistica, senza ombra di dubbio un posto a sé meritano i formalisti russi, il cui massimo esponente fu Victor Sklovskij.  Secondo lo studioso l’arte totale è soggetta  straniamento ovvero vi è l’idea che l’autore di un’opera riceva dalla tradizione certe convenzioni e le sottoponga a modifica geniale attraverso il cosidetto ‘straniamento’. Straniamento non riguarda solo la forma linguistica, ma anche quella dei contenuti, i meccanismi rappresentativi di un’opera e le sensazioni trasmesso. E’ straniamento tutto ciò che porta al di là della natura intrinseca della forma sia essa linguistica o contenutistica. In questo senso l’opera vessillo che spiega le teorie di Sklowskij è “Teoria della prosa” del 1925.

I formalisti russi operano all’inizio del novecento, e comprendono in realtà molte tendenze. Contribuirono a loro modo alla formulazione di una teoria della letteratura che influenzerà le riflessioni successive. Furono accaniti studiosi di tecniche letterararie. Indagarono finanche il suono, il metro, e le strutture narrative.

L’effetto più positivo del formalismo, se si vuol tentare di fare un discorso di portata generale è stato quello di far maturare il perfezionamento delle tecniche di descrizione della forma dei testi, proponendo quindi delle analisi che al lettore accorto possono essere di utilità.

L’effetto negativo invece potrebbe essere – spiega Suitner – quello di aver contribuito alla nascita  di terminologie tecniciste sempre più complicate e magari fine a se stesse, che hanno finito per staccare la letteratura dal suo naturale pubblico. Ecco come se i formalisti russi avessero la presunzione di dichiarare che i grandi capolavori della letteratura potessero essere studiati e capiti solo dagli ‘scienziati’.

Ad esempio – continua Suitner – un volume intero che elenchi tutti i modi in cui Balzac inizia un periodo serve a poco, se da queste osservazioni non si ricavano considerazioni generali valide non soltanto in chiave formalistica, ma anche utili a promuovere nuove interpretazioni sull’autore.

Od ancora se l’analisi minuziosa dei singoli fatti che compongono un’opera, diviene necessaria e giudiziosa, in realtà i fatti dimostrano che questa non ha molto senso.

Abbiamo detto che i formalisti russi analizzarono anche le strutture della narrazione, quella che in qualsiasi antologia verrebbe denominata “analisi del racconto”.  Se si parte dalla considerazione che ogni componimento narrativo ha delle strutture portanti sia per ciò che concerne gli elementi strutturali (prologo, azione complicante, epilogo) sia per quanto riguarda gli elementi di contenuto, si arriva alla conclusione che l’analisi del racconto risulta essere molto utile per l’individuazione dei generi del racconto. Fu questo un filone di studi che ebbe molto successo negli Stati Uniti d’America. Gli studiosi americani svolsero e svolgono tutt’ora indagini sulla ‘narrativa naturale’ cercando di individuare gli elementi più comuni alla più semplice attività di creazione narrativa, in ambienti popolari ben caratterizzati. La conclusione a cui si arrivarono gli americani è che vi sono parecchie similarità nell’uso degli artifici narrativi che sono alla base di qualunque narrazione. Questo spiega ad esempio la ripetizione delle tecniche narrative nel corso del tempo. E’ come se, una volta scoperto che il lettere da un certo meccanismo trae godimento nella lettura, tale meccanismo lo si ripete al fine di prolungare e moltiplicare il piacere. Alla luce di tale ragionamento si spiega la nascita delle fiabe, delle narrazioni antiche epiche e medievali, i più recenti romanzi d’avventura e polizieschi.

Proprio sulle fiabe, lo studioso di folklore Vladmir Propp nel 1928 pubblicò “Morfologia sulle fiabe”. E’ un opera miliare per quanto riguarda il tentativo di dare un fondamento all’analisi del racconto e renderne esplicite le relative teorie.

Propp andava ad individuare, o meglio ancora si concentrava sull’azione dei personaggi delle fiabe, dando luogo ad un’analisi funzionale. Per capirci meglio: per Propp non era importante capire chi è la protagonista di una favola, ma è importante capire cosa fa, quale azione compie e quale azione compie, quale funzione vi svolge. La favola – dice Propp – la storia, nasce da una successione di azioni, di funzioni, azioni e funzioni che hanno un numero limitato. Scegliendo un determinato corpus di fiabe di magia russa, Propp identifica 31 funzioni significative per lo sviluppo della storia. Ad esempio si poteva avere la funzione “punizione” oppure la funzione “ritorno”, “salvataggio”, “divieto”, “fuga”, “lotta”, “nozze”.

Propp giunge alla conclusione che, almeno per quanto riguarda le fabie di magia da egli considerate, esse sono sostanzialmente tutte varianti di un tipo unico, offrendo una tabella che si propone di descrivere sinteticamente nel modo accennato tutto il corpus di fiabe che ha scelto, rendendo agevoli, attraverso il confronto strutturale paragoni e conclusioni generali sul modo in cui le storie sono costruite.

Ciò che bisogna chiedersi è: le funzioni esplicitare da Propp corrispondono agli elementi minimi della narrazione? Secondo Suitner Propp avrebbe potuto scegliere anche altre funzioni dal momento che, l’analisi dell’intreccio, di una trama, ciò che appare significativo a un osservatore, può non apparire tale, ad un altro. E inoltre: lo schema di una fiaba ottenuta con questo metodo che tipo di descrizione ci offre della stessa? Sempre – secondo Suitner- “ si ha la sensazione che si tratti di una descrizione molto povera, in primo luogo per la scelta di concentrarsi soltanto sull’azione del racconto” (pp. 46).

Ciò che appare evidente è che nell’analisi della favola proppiana si trascurano gli ambienti, i paesaggi, i caratteri dei personaggi, elementi che appaiono significativi ai fini dello stesso intreccio, dati che sono importanti alla fine della costruzione della struttura narrativa.

Sempre per ciò che concerne l’analisi del racconto: l’analisi proppiana può essere usata per analizzare altri generi letterari più sofisticati e complessi? In linea di massima, l’analisi dell’intreccio appare tanto più rilevante quanto maggiormente le trame narrative sono stereotipate. Sicché un’analisi del racconto può essere effettuata per il romanzo popolare rosa, per il poliziesco, per alcuna narrativa d’avventura.

Ritornando ai formalisti russi, alcuni meriti possono essere tracciati: l’analisi del racconto ha avuto il grande merito di richiamare l’attenzione di chi studia sui meccanismi della narrazione, e di portarne alla luce gli aspetti convenzionali e quelli più innovativi. Sklovskij ad esempio osservava la maniera in cui gli scrittori legano vari episodi all’interno dell’opera, o quella in cui attuano la divisione in capitoli dei loro libri. Questo tipo di studi sono in qualche modo paragonabili a quelli che in poesia vengono dedicati alle strutture metriche.

Per concludere: lo studio delle strutture narrative può cogliere uno degli aspetti più importanti delle opere. E’ produttivo, come del resto le altre forme di studio, soprattutto se viene integrato a un’osservazione generale dei testi. La possibilità di poterlo perseguire con precisione matematica è probabilmente una velleità, anche se afferma Suitner il “tentativo di rendere lo studio meno generico e di precisare paragoni e confronti fra le diverse strutture narrative nasce comunque un incremento delle conoscenze, che può essere utilizzato anche sul piano storico”.

 

 

 

 

 

  1. 4.   Temi e comparazione letteraria

Abbiamo parlato della critica stilistica, ma la letteratura diviene oggetto d’indagine anche per ciò che concerne i temi trattati da tutte le opere che formano l’immenso patrimonio letterario che può vantare una nazione.

Anche questi sono tipi di studio settoriali, sono ricerche finalizzate alla comprensione dei contenuti che hanno le opere letterarie, nonché sono analisi atte a verificare se alcune tematiche si ripetono nel corso del tempo. Ed in effetti è proprio così: alcuni temi tendono a ripetersi in diverse opere, in diversi autori o anche in diverse letterature del mondo.

Furono gli studiosi del folklore, per primi, a mettere in evidenza questo tipo di studi, infatti nella letteratura popolare si riscontrano degli elementi costanti e caratteristici che si ritrovano nel corso del tempo.

I positivisti tedeschi attraverso la “Stoffgeschichte” (storia dei temi) cercarono di individuare proprio queste costanti. Elisabeth Frenzel  ha tentato di comporre un inventario o meglio ancora una classificazione di molti letterari, giungendo a conclusioni che seppur opinabili mettevano in luce risvolti interessanti: effettivamente alcuni temi letterari si ripetono nel corso del tempo, e sembrano attrarre il lettore più di altri temi.

Si prenda ad esempio la mitologia. Molti scrittori attingono dal repertorio mitologico, in quanto la mitologia con i suoi personaggi, con i suoi densi nuclei narrativi hanno e avevano un potere fascinatorio sul lettore.

Un altro esempio di ricerca tematica è quella di andare ad individuare i topoi. Si tratta dei cosidetti luoghi comuni. In questo senso, il medioevo, può essere considerato nella cultura occidentale l’epoca d’oro del topos. Per fare degli esempi, la donna cortese che sparge attorno a sé amore e benessere spirituale, è un vero e proprio topos. Si pensi che la poesia italiana del duecento è permeata da questo tipo di topos. Nella lirica siciliana, nei poeti siculo toscani, nei poeti giocosi la donna cortesi in un modo o nell’altro è sempre oggetto di attenzione ed è al centro dei componimenti.

Anche la letteratura moderna è ricca di topos: il castello tenebroso e quasi inaccessibile, sede del malvagio o del brigante ribelle, è una presenza tipica o topica di certa letteratura romantica; il viaggio per mare che sconvolge tutta la vita del protagonista, aprendola a vicissitudini e sviluppi impensati, ad esempio è molto ricorrente nella letteratura inglese dell’ottocento.

Nel novecento non si possono trascurare alcuni topoi ricorrenti soprattutto nella letteratura italiana: l’autostrada nel “Guidatore notturno” di Italo Calvino rappresenta una realtà geometrica unita alle vicende sentimentali del protagonista. In “Autobahn” (1980) di Vittorio Tondelli, l’autostrada è una strada speciale che va verso l’altrove. Più che in Italia il topoi dell’autostrada è presente negli Stati uniti d’America: l’autostrada diviene il luogo degli incontri casuali; si incontrano le persone più svariate rappresentanti tutti i ceti, le condizioni, le fedi, le nazionalità e l’età.

Presente nella letteratura italiana anche il topos della banca, che ha avuto quasi sempre una connotazione negativa, emblematica per concepire la crisi del uomo novecentesco. L’Alfonso Nitti di “Una vita”(1892) di Italo Svevo ne può essere un esempio.

Al di là di questa breve rassegna di esempi, lo studio di un testo può anche allargarsi alla costruzione di un capitolo della storia della cultura. Nell’opera di Ernst Robert Curtius “la letteratura europea e il medioevo latino” (1948) lo studioso mette in evidenza  alcuni topoi della cultura occidentale, soprattutto nel passaggio fra mondo classico e medioevo latino e volgare.

Particolare importanza hanno anche le ricerche iconologiche, ovvero quelle immagini che ricorrono nel corso del tempo nell’arte. L’istituto di Walburg di London in questo senso, cerca di mettere in luce i risultati di questo tipo di ricerche, ma si tratta comunque di studi affini alla letteratura: è compito specifico dell’antropologia, della sociologia, degli studiosi del folklore cercare di mettere in evidenza questo tipo di ricerche. Antropologia e folklore hanno esercitato un grandissimo influsso sugli studi letterari e moderni. La ricerca sul folklore ad esempio, può aiutare a comprendere gli infiniti legami fra la cultura popolare e quella alta degli scrittori e degli intellettuali.

Lo studioso Michail Batchin negli anni venti del novecento, in un famoso libro su Rebelais ha ricostruito o meglio ha fatto emergere tutta una serie di elementi, valori, emblemi della cultura popolare medievale europea, in particolare quella legata alla festa del carnevale. Nella concezione dello studioso russo il romanzo è il crogiulo ideale in cui convergono tutti gli altri generi letterari. Il romanzo è il genere polifonico per eccellenza, un genere aperto, mai codificabile, che si modifica incessantemente adattandosi alle contingenze e inglobando in se stesso le più svariate forme di espressività letteraria.

Comunque, dei testi letterari non si occupa quindi soltanto il critico, ma anche lo storico, l’antropologo, il folklorista. Ma la necessità di far convergere discipline diverse per rendere più ricca e possibile l’interpretazione dei testi può favorire il dilettantismo. L’aspirante interprete di tutti i sistemi di segni, può rivelarsi esperto di tutto e quindi di nulla.

 

 

 

  1. 5.   La letteratura e il suo ambiente di sviluppo

Altro aspetto interessante quando si disquisisce di letteratura, è qual è l’influsso che l’ambiente geografico e culturale, il contesto storico e sociale hanno sulle attività creative degli autori e sulle caratteristiche delle opere letterarie?

Domanda da un milione di dollari, difficilmente si riesce a dare una risposta precisa; più che altro proprio per la difficoltà si tende ad evadere la domanda, cercando di andare a rappresentare chi ha approntato questi tipi di studi, e cercando di capire a che tipo di sviluppi è giunto. Ad esempio, i positivisti, batterono molto questa pista, e prima di loro i romantici: cercare di capire cosa legasse la storicità e l’arte, l’uomo, la storia e l’opera d’arte. Alla luce di ciò, le prime vere e proprie storie delle letterature nazionali, in Europa, sono nate su questi presupposti nell’ottocento: il giudizio sulle opere andava rapportato al divenire storico e a una più generale valutazione dei fattori di civiltà del tempo.

Cosa voleva dire, letteratura nazionale? Parlare di letteratura nazionale voleva dire avere una visione diversa delle cose, o meglio ancora, l’idea di letteratura nazionale, andava in perfetta simbiosi con la diffusione del culto della nazione e con l’aspirazione sempre più forte all’unità e all’indipendenza di molti popoli europei.

Ad esempio, proprio Suitner, faceva rilevare che osservando la storia della cultura degli ultimi secoli si notava che nei periodi di più elevato fervore politico, vi era l’inclinazione a utilizzare per scopi pratici di parte l’attività artistica.

L’idea che a ogni nazione corrisponda una letteratura, con specifici caratteri e un ben determinato “spirito”, è una tipica idea romantica che ha continuato a essere sostenuta ed elaborata proprio in periodo positivista. In base a questa teoria esisterebbe uno spirito caratteristico della letteratura italiana, di quella tedesca, e di quella spagnola; e c’è di più: i motivi caratterizzanti sarebbero legati a fattori di razza, e quindi si potrebbe parlare di caratteri latini, celti, slavi.

Dopo il periodo positivista si sono avute molte interpretazioni sulla storia nazionale, o ricostruzioni della personalità degli autori, alla luce dell’influsso esercitato da fattori quali la nazionalità, l’ambiente, la razza. Il più noto, e certamente il più dotato fra gli studiosi europei che hanno seguito queste tendenze, è stato il francese Hippolyte Adolphe Taine, autore in particolare di una “Storia della letteratura inglese” (1863) nella quale larghissimo spazio è fatto alla riflessione sui fondamenti antropologici della cultura inglese, dall’autore assai ammirata.

Comunque sia, lo storicismo positivista e quello post-positivista hanno valorizzato proprio lo studio dei rapporti fra le opere d’arte e la realtà storico-ambientale.

Ma in generale si può dire che:

–         non sembra che vi sia un nesso imprescindibile fra la nascita di una grande opera letteraria e lo stato di civiltà del paese in cui nasce

–         l’esistenza di condizioni propizie al lavoro intellettuale come libertà, tolleranza, benessere materiale e opportunità di espressione incidono sulle condizioni generali dello sviluppo culturale, favorendo la nascita e la pubblicazione di buone opere letterarie.

 

Suitner riportava l’esempio di come in un’epoca di grandissimo splendore della vita civile come il rinascimento italiano non ha prodotto molti capolavori, mentre la russia ottocentesca del periodo zarista ha tirato fuori romanzieri come Bulgakov, Pasternak, Solzenicyn.

Lo storico della letteratura italiana Carlo Dionisotti aveva parlato non solo di storia della letteratura, ma anche di geografia della letteratura soprattutto quando una nazione ha una vicenda politicamente e linguisticamente non unitaria, com’è il caso dell’Italia: in questo senso le letterature regionali, anche linguisticamente differenziate sembrano offrire uno scorcio molto interessante sulle teorie di Dionisotti: all’interno delle diverse nazioni lavorano anche scrittori di lingue diverse, così come parallelamente autori appartenenti a una cultura scrivono in paesi lontani, secondo una serie di combinazioni che i processi di globalizzazione, i viaggi, le migrazioni e i mescolamenti di popolazione rendo sempre più varie e per tanti aspetti ricche.

Alla fine del novecento si è andato via via teorizzando il problema relativo al canone letterario ovvero secondo Suitner: “ l’insieme dei testi, la “lista” potremmo dire, che entra a far parte delle letture riconosciute di una comunità, di una nazione, di una civiltà. Si tratta dei testi ai quali finisce con l’essere riconosciuta la dimensione del “classico”, maggiore o minore, dei testi che vengono studiati a scuola e la cui conoscenza è promossa come fattore fondamentale dell’educazione dell’individuo”. (p.73)

Dove e come nasce il problema del “canone letterario”? Gli studiosi si sono chiesti come mai nel canone dei classici non figurassero per nulla opere di autori appartenenti di altre culture, come ad esempio le opere dei paesi del terzo mondo, dei paesi emarginati per intenderci. Come se una classe dirigente di una determinata nazione costruisse un modello educativo che si avvale di una lista di letture attraverso le quali contribuire a perpetuare le proprie tradizioni e i propri modelli di vita.

In questo senso, le opere di tipo popolare hanno spesso faticato a vedersi riconoscere il posto che meritavamo all’interno dei “canoni” nazionali.

Ritornando poi al legame di storia e letteratura da una parte bisogna rendersi conto che mescolare troppo la storia con la letteratura significa in qualche modo allontanarsi dall’oggetto letterario, dall’altra parte bisogna anche dire che una lunghissima esperienza insegna che la storia è uno dei migliori compagni di strada per lo studio della letteratura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. 6.   Tra storia e ideologia

Altro aspetto da non escludere, anzi, tutt’altro è il rapporto che può legare la letteratura con l’economia, o meglio ancora la dimensione economico-sociale con la letteratura. Sicché non ci può esimere dal parlare del marxismo e della sua critica ideologica.

I marxsisti partono dal presupposto che l’arte sia una sorte di rispecchiamento sovrastrutturale della struttura economica e sociale del mondo.

Fin dai suoi inizi, i migliori pensatori non hanno avuto vita facile nel dimostrare le loro teorie; veniva loro imputato di indagare la realtà in modo molto rozzo e semplicistico, e l’etichetta che gli venne attribuita fu quella di indagare la letteratura attraverso un “sociologismo volgare”.

Tuttavia un altro fatto è altrettanto vero: quando il rinnovamento o lo sconvolgimento della struttura economico sociale ha il sopravvento, , è difficile che la “sovrastruttura” artistico-letteraria per essere considerata solo o prevalentemente in rapporto alla sua utilità strumentale.

Cosi è accaduto che negli trenta, sessanta e settanta del novecento, nacquero una schiera di minor interpreti, tra cui anche insegnanti e studenti che sentivano la necessità di sostituire i “classici” reazionari della letteratura, con la lettura del giornale quotidiano, che indubbiamente ‘rispecchia’ la struttura economico-sociale senza tante complicazioni.

Autori come Balzac, Tolstoj, venivano giudicati dei progressisti, in quanto la loro opera, sorretta dal talento artistico, andava a riflettere prepotentemente il quadro della società dell’ottocento, la sua realtà economica, le sue contraddizioni di classe.

In Italia ad esempio, ampie discussioni si sono fatte su quanto Manzoni e Leopardi fossero reazionari. Quanto sono utili questo tipo di discussioni? Taglia corto proprio Suitner che afferma che se queste argomentazioni vengono coltivate come obbiettivo primario rischiano di allontanare anziché di avvicinare il lettore da quel che è più importanti nell’opera di questi autori.

Se da una parte l’ideologia è massicciamente presente in molti scrittori, come ad esempio leggendo i cattolicissimi Manzoni o Chateubriand, questo discorso non può solamente valere da una parte per gli scrittori marxisti, e dall’altra dalla critica marxisista molte volte accusato di rilasciare patenti di progressismo.

Il fatto è che non si può negare a nessuno la possibilità di accostarsi alla letteratura strumentalmente, cercandovi il riflesso di qualcosa che lo interessa molto di più (politica, economia e scontro sociale), ma la comprensione della letteratura può seriamente esserne compromessa, e comunque si richiederebbe al critico e al lettore di avere una mano molto delicata.

Uno dei più grandi critici marxisisti, il pensatore ungherese Lukas, ha improntato ricostruzioni storico-letterarie che sono fra le più significative del Novecento.

Proprio Lukas ha esplicitato la teoria del “realismo”. In cosa consiste? Parte dal presupposto che la grande arte è essenzialmente realistica e che realistica è la grande arte che ha avuto la maggioranza dei grandi scrittori. Non si tratta, di verismo, o di naturalismo, Lukacs si spinge oltre parlando di tipizzazioni che insieme vengo a offrire un ritratto profondo e poetico di un periodo storico, come è evidente che il grande realismo di cui parla lo studioso riprende l’uomo completo e la società intera, anziché alcuni aspetti della loro condizione, quindi pensa anche alla ricostruzione dei rapporti economico-sociali.

Suitner su la critica marxista conclude così: “è importante sottolineare che gli aspetti più interessanti della riflessione dei teorici marxsisti sulla letteratura possono avere una validità in una buona parte indipendente da quella che si voglia riconoscere ai programmi politici cui erano all’origine legati, frutto di particolari momenti della storia internazionale e soprattutto europea. Ciò del resto vale anche per altri pensieri estetici e programmi letterari e artistici, vicini a ideologie del tutto diverse”. (pp.84)

Contemporaneamente alle teorie lukacsiane nei paesi socialisti si diffonde, si impronta un’arte di propaganda. La richiesta alla letteratura di essere eticamente e socialmente impegnata può sfociare facilmente in un’arte propagandistica. Si pensi a regimi dittatoriali come il fascismo e il nazismo, dove l’arte si mette a disposizione del regima affinché propagandi i valori del regime stesso.

Finanche in Gramsci si può scorgere una possibile strumentalizzazione della lettura critica e della istituzionalizzazione di discutibili scale di valori letterari.

Il lavoro gramsciano è un lavoro molto interessante: lo studioso riuscì ad analizzare i meccanismi attraverso i quali il potere riesce a manipolare le masse, ma il suo discorso sul ruolo dell’intellettuale socialmente impegnato è organico ad un partito (quello comunista, da lui fondato nel 1921) cosi come nell’Europa del dopoguerra questo tipo di modello di intellettuale impegnato, molto specifico ad un movimento politico, ha avuto per lungo tempo un successo enorme.

Ritornando quindi al marxsismo, la “contestazione al realismo” si è sviluppata ben presto anche nello stesso ambito della critica influenzata dal marxsismo stesso: pensatori come Walter Benjamin e il gruppo di filosofi della scuola di Francoforte hanno sviluppato un’idea della funzione della letteratura, che, se parte da premesse analoghe a quelle marxsiste, giunge a esiti opposti sul piano del gusto. Anche qui a fondamento vi è l’idea che la letteratura debba influire sui mutamenti storico-sociali, in particolare che debba avere una posizione contestatrice nei confronti soprattutto dell’organizzazione della società, ricordando sempre che la musica, la letteratura e l’arte in genere paiono nascere essenzialmente dalla sofferenza dell’uomo, dalla sua condizione di disagio sociale e individuale, e dallo stimolo alla ribellione. Questa dovrà esprimersi di necessità in forme sempre nuove, forme che quindi non possono in alcun modo assimilarsi a quelle di un’arte di propaganda politica organizzata per via burocratica.

La poesia lirica diviene più della prosa strumento immediato per la contestazione del reale, la prosa è più complessa, ci sono da valutare i messaggi comunicativi, le caratteristiche linguistiche, la poesia sembra essere –secondo Walter Benjamin- più immediata.

Tra i tanti filoni di studi critici, forse minore rispetto ad altri vi sono stati tentativi in cui si cercava di leggere nelle opere letterarie i messaggi che si riferiscono ad altre forme di civiltà. Gli americani cercarono di capire i modi attraverso i quali una determinata civiltà, legge e interpreta un’altra cultura, spesso fraintendendola o deformandone i caratteri in modo più o meno interessato o anche qualche volta non intenzionale.

Comunque sia, per concludere, la qualità di queste ricerche dipende molto dal senso della misura con cui sono condotte, nonché dall’accuratezza della documentazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. 7.   Autore, interprete, pubblico.

La critica sociologica ha molte volte preso in considerazione gli studi su un autore, sugli interpreti e sul pubblico. Alla luce di ciò va detto che lo scrittore:

–         può essere studiato nel suo radicamento sociale e nella sua appartenenza ad una certa classe

–         uno scrittore non nasce dal nulla, ma da un preciso contesto

–         le sue opinioni, convinzioni, immaginazioni riflettono spesso quelle di un particolare gruppo sociale

E delle caratteristiche sopra descritte se ne occupa il critico che cerca di capire tutti questi parametri. Il francese Lucien Goldmann hanno assegnato a questi fattori addirittura un valore fondamentale sul piano del riconoscimento.

A partire dalla fine del Novecento, negli stati uniti d’America grande interesse ha suscitato il discrimine sessuale: la genesi va ricercata ne fatto che nel passato la maggioranza degli scrittori apparteneva al sesso maschile, sicché gli studiosi americani si sono chiesti il perché dello scarso contributo femminile alla letteratura.

Un famoso libro di Simon de Beuvoir, intitolato “Le deuxieme sexe” (1949) considerato un vero e proprio caposaldo della tradizione femminista novecentesca rivendica le capacità intellettuali e artistiche della donna; denuncia i processi repressivi che basandosi su una presunta diversità biologica, ne hanno sostanzialmente limitato storicamente le possibilità espressive.

Gli studi sulla letteratura femminista, tendono ad evidenziare come le donne siano viste come un gruppo sociale, un ceto particolare, e si può quindi studiarne i modi di accesso all’attività letteraria, o quelli eventualmente di esclusione, attraverso le varie epoche e le arie società. Ad esempio si può cercare di capire in quali campi della letteratura il loro contributo sia stato più ricco e apprezzato.

Un altro filone di studi si occupa dei modi in cui viene presentata l’immagine della donna nella tradizione letteraria, e delle mille forme in cui nelle opere del passato e del presente si riflettono i rapporti esistenti fra i sessi.

Le domande da porsi sarebbero molte:

–         in che modo si rivela nei testi la specifica appartenenza sessuale degli scriventi?

–         Esiste un immaginario femminile dalle sue proprie regole? E come si rivela?

Sul piano descrittivo può essere interessante esplorare nei testi le tracce di una mano, e di una mente, di un cuore femminile anziché maschile, anche se non sarà semplice e sarà qualche volta poco conclusivo.

E per quanto riguarda il lettore, cosa si può dire? Anche qui il discorso diviene complesso alla luce degli studi fatti. I positivisti ad esempio cercarono di capire la “fortuna” delle opere letterarie. In Germania si sviluppò la cosidetta “estetica della ricezione”, a opera di alcuni autori fra i quali sono emersi in particolare Hans Robert Jauss e Wolfgang Iser, e sviluppi similari si sono avuti negli Stati Uniti d’America.

L’aspetto più interessante della teoria della ricezione è quello che insiste sul ruolo del lettore nella stessa fondazione del valore letterario. In effetti, qui, il lettore non viene considerato un elemento passivo della letteratura, ma come colui che ,e attribuisce il senso principale. E’ il pubblico che fa di un’opera un simbolo; che la carica di valori, di aspettative, che l’assume a rappresentare una serie di istanze.

Non esistono in letteratura interpretazioni esatte in assoluto, ma ve ne sono in un certo senso di convincenti, interpretazioni su cui è possibile invocare il consenso di una maggioranza, di una comunità interpretante.

Lo spostamento di interesse di parte della critica nei confronti del lettore può rivelarsi in tutta una serie di lavori: un’opera letteraria è soggetta a un diverso gradimento nel tempo, e di questo gradimento si può rintracciare una storia. Avvicinandoci ad epoche recenti o meglio ancora contemporanee è possibile al limite utilizzare degli strumenti statistici per misurare il gradimento delle opere, in modo analogo a quel che si fa in tante ricerche sociologiche. E’ quindi possibile svolgere indagini sul mondo in cui vengono letti alcuni scrittori nelle scuole, o sul grado di comprensione della stessa poesia in diversi ambiti sociali e professionali.

Nel periodo romantico l’immagine dell’artista veniva costruita come il genio creatore; oggi il rapporto con l’industria, i mass media, le nuove tecnologie cambiano progressivamente il nostro modo di vedere le cose, e cambia il nostro modo di vedere gli artisti e gli scrittori.

Le attese del pubblico, determinanti per il successo o meno di un lavoro letterario, possono indirizzare chi scrive verso un genere oppure un altro, possono influenzare la consistenza materiale dell’opera, la scelta della lingua e dello stile. Tutti questi influssi possono essere indagati e ricostruiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. 8.   Il contributo dell’analisi della psiche.

 

Sul fatto che un buon critico letterario debba conoscere il cuore umano, non ci sono dubbi. Chi è più sensibile nella comprensione del reale, sembra esserlo anche nella letteratura. Sigmund Freud ha più volte espresso la sua ammirazione nei confronti delle capacità di analisi psichica dei grandi scrittori. Ad esempio molti dei più grandi critici dell’ottocento si interessavano più della biografia degli scrittori, che della loro stessa opera. Le loro ricerche miravano costantemente a ricostruire il carattere degli artisti, e si basavano largamente su un’acuta e penetrante capacità di analisi psicologica.

Con la nascita della psiconalisi alla fine dell’ottocento subito si è stretto il rapporto fra psicologia e letteratura.

Quali indagini di studio ha aperto la psicoanalisi nella letteratura?

–         la biografia degli autori: la tradizionale ricostruzione biografica di uno scrittore può essere arricchita e potenziata da un’analisi psicoanalitica che miri a spiegare quel che rimane nascosto al ritratto tradizionale (sogni attaccamenti, ossessioni). Comunque sia, ricostruire le nevrosi di cui soffre l’artista è certamente interessante ma la sensazione che si ha è che ad un certo punto ci si sposti troppo lontano da quel che dovrebbe interessare le opere degli artisti.

–         Analisi contenutistica o tematica: consiste nella decifrazione di simboli, ma può essere anche l’interpretazione analogica dell’invenzione narrativa, della trama del racconto o di elementi dell’intreccio. Più racconti, più testi, possono essere interpretativi insieme, cogliendo in essi temi e simboli ricorrenti, rivelatori di problemi o fissazioni dominanti. Ad esempio la psico-critica di Charles Mouron mirava sull’analisi minuta dei testi, secondo una tecnica ben precisa. Essa si basava sull’osservazione e sulla decifrazione di associazioni immagini ricorrenti, per risalire alle ossessioni dominanti.

Nell’ispirazione della psico-analisi junghiana è interessante l’idea che in letteratura si esprime anche il famoso inconscio collettivo: il critico ricercherà nei testi le tracce della voce dell’inconscio collettivo, degli archetipi, così per arrivare nei testi all’identificazione dei nuclei tematici.

–         La psicoanalisi sui personaggi letterari: la psicoanalisi è stata impiegata sui personaggi letterari come se fossero persone reali, il cui comportamento e le cui turbe psichiche possono essere ricostruite fedelmente. Alcuni personaggi letterari sono apparsi agli stessi psicoanalisti costruiti così bene, da poter essere considerati come soggetti reali.

–         La psiconalisi e il linguaggio artistico: l’idea fondamentale è che nel arte l’inconscio trovi modo di esprimersi in maniera particolare e privilegiata rispetto alle normali forme di comunicazione. Queste correnti hanno esplicitamente mosso i loro passi dai lavori di Freud sui “lapsus” e soprattutto dai “motti di spirito”. Se lo studioso ambisce a scoprire il lavoro dell’inconscio sulla pagina dello scrittore, e della stessa materia linguistica che deve partire dall’analisi formale dei testi.

 

Il contributo che la psicanalisi può offrire allo studio della letteratura è molto vario e mutevole, e può esercitarsi sulle singole letture quanto in generale influenzare il pensiero estetico e ideologico. Questo contributo può essere offerto da medici psicoanalisti che si interessino di letteratura, ma anche da critici letterari aperti alla psicanalisi. I primi possiedono una ben precisa preparazione tecnica nella disciplina, i secondo sono meglio in grado di inquadrare certi suggerimenti nella cornice letteraria.

  1. 9.   La filologia.

La filologia è l’attività che mira alla restituzione del testo originale delle opere letterarie, o di un testo il più possibile vicino ad esso. Tale scienza si rende necessaria soprattutto per quelle opere a noi molto lontane, di cui ci sono pervenute più copie, più manoscritti, più stampe. E’ in questo campo che interviene la filologia, ed il filologo, il quale cerca di capire attraverso un’attenta critica del testo, quale stampa o manoscritto è davvero uscito dalla mano dell’autore. E grazie a questa scienza, che oggi, con precisione quasi meticolosa possiamo leggere i grandi capolavori italiani, partendo da Dante, Petrarca, Boccaccio…cosa sarebbe inoltre la poesia italiana del duecento senza la filologia? Senza quelle analisi minuziose che pochi, ma grandi filologi sono riusciti a fare?

Per quanto riguarda il testo con cui ha avuto sempre a che fare il filologo diciamo che grazie all’invenzione della stampa avvenuta all’incirca verso il 1450 è cambiato il processo di trasmissione delle opere. La stampa ha assicurato un certo grado di fissità al testo degli autori, considerando che questo, in genere, viene diffuso in un numero mutevole di copie, tutte uguali.

Nei primi secoli della loro diffusione i metodi di stampa manuale hanno favorito l’intervento dei correttori, succedeva cosi che della stessa opera si avevano almeno due esemplari con relative differenze: tipografi, compositori, correttori di bozze o altri avevano la possibilità di apportare più o meno rilevanti correzioni ai testi che gli venivano consegnati. Ragion per cui oggi,esiste, un settore della critica del testo che si occupa dei problemi posti dalla trasmissione dei testi stampati, problemi che sono simili, anche se non identici a quelli che presentano le opere che ci sono pervenute attraverso manoscritti.

Antecedentemente all’invenzione della stampa abbiamo a che fare con una tradizione manoscritta. I testi manoscritti sono l’uno diverso dall’altro, sono spesso di lettura e di decifrazione molto complessa, ed erano soggetti agli errori degli amanuensi che li hanno trascritti. Talvolta non si trattava di errori, ma vi era la volontà di allontanarsi dal testo originale. Qui la necessità dell’intervento del filologo è ancora più forte, il quale attraverso un’attività certosina, come farebbe un artigiano con il suo prodotto, mira alla restituzione del testo originale.

Suitner sostiene un concetto molto importante allorquando dice che: “quel che si dovrebbe semmai chiedere al filologo è di non ingannare il lettore, dichiarando sempre esplicitamente e onestamente i limiti delle soluzioni editoriali”, ne deriva che la preoccupazione di andare verso il “filologismo” ovvero quella forma di manierismo che finisce con lo scambiare i mezzi con i fini. Fine dello studioso non diviene così la lettura e l’analisi del testo, ma l’esibizione di eleganza e sofisticazione del problema filologico.

Molti lavori di edizione richiedono una competenza tecnica (paleografia, codicologia, glottologia, dialettologia) talmente raffinata che è difficile pensare che l’editore possa essere sempre anche un critico e storico letterario generale, che abbia avuto la possibilità, oltre che la vocazione, di costruirsi una vasta cultura storica oltre che quella specialistica preparazione che gli è necessaria per leggere le antiche grafie, sciogliere abbreviazioni, datare una scrittura, preferire una variante dialettale all’altra, identificare i tratti regionali di un amanuense ecc..

Ogni testo abbiamo detto si modifica nel tempo per vari motivi: per gli errori degli amanuensi, per la volontà degli amanuensi, per errori di stampa, per motivi di censura politica o anche per cause riguardanti l’influsso deformante del gusto letterario dell’epoca…

In quanto scienza, la filologia possiede anche un metodo per l’individuazione e la decifrazione dei testi. La prima grande stagione filologica è stata quella dell’umanesimo: gli umanisti ricercavano i grandi testi dell’antichità greca e latina e ovviamente cercavano di leggerli e diffonderli nella miglior veste possibile.

La grande filologia moderna è nata alla fine del XVIII secolo ed è quella tutt’ora dominante. Alla base vi è l’idea che si possa elaborare un procedimento più possibile scientifico ed esatto per trarre giovamento dall’esame dell’intero corpus di testimonianze che ci trasmettono un testo. Era quello che si prefiggeva Lachmann (1793-1851) con il suo metodo. Dopo aver analizzato tutte le testimonianze di un’opera, si cercava in primis di mettere in luce tutte le dipendenze che i testimoni avevano con l’opera originale, cosi era possibile – secondo Lachmann – definire la posizione di ogni manoscritto rispetto agli altri, e ottenere un quadro di questi rapporti rappresentabile anche graficamente con il cosiddetto “stemma codicum”, qualcosa di molto simile ad un albero genealogico.

La situazione ideale con il metodo di Lachmann si ottiene quando è possibile ricostruire la lezione di un testo, con almeno tre lezioni indipendenti, ad esempio da manoscritti appartenenti a tre diverse “famiglie” di codici. In questo caso, è evidente che l’accordo di due lezioni contro una terza rimasta isolata consente di applicare la cosiddetta legge della maggioranza.

L’importanza del metodo di Lachmann sta nel fatto che il filologo esamina criticamente ai fini della costituzione di un testo, tutta la tradizione, cioè l’insieme delle testimonianze che lo trasmettono.

Il filologo francese Joseph Bedier (1864-1938) ha osservato che, almeno per i testi medievali, la maggioranza degli stemmi proposti  dagli editori finisce col prevedere tradizioni a due rami, sulla base della quali il principio di Lachmann non è applicabile.

Molto importante nella critica di un testo è quella che viene definita “critica delle varianti” che è sostanzialmente l’esame critico delle versioni precedenti un’opera, ad esempio degli abbozzi, delle correzioni apportate dall’autore nel corso dell’elaborazione del testo. Ad esempio quando un autore rielabora l’abbozzo di un romanzo sopprimendo interi capitoli, introducendone dei nuovi, cancellando periodi completi e cosi via, è appunto questo un rifacimento.

La più tipica critica delle varianti, è quella che studia le correzioni minute, di tipo linguistico e stilistico, apportate dall’autore per migliorare il suo testo. In generale queste minute correzioni acquistano un valore molto elevato in poesia. In una lirica infatti, il mutamento di un aggettivo  o di un verbo può produrre importanti effetti sull’insieme.

Un’altra domanda molto importante che ci si deve porre è: quanto l’informatica può servire agli studi letterari? Gli ausili della tecnica possono rivelarsi preziosi negli studi letterari. Il più appariscente risultato dell’introduzione dell’informatica nel settore delle attività umanistiche è la moltiplicazione dei dati che si offrono a chi studia, come del resto a chi svolge qualunque tipo di attività. Soprattutto per quanto riguarda gli aspetti storico-eruditi, gli studi letterari possono avvalersi di tutti quei sussidi che le odierne tecnologie mettono a disposizione della ricerca storica: raccolta dati archiviati elettronicamente su soggetti diversi, bibliografie internazionali rapidamente interrogabili anche a distanza, e soprattutto in prospettiva, possibilità di accesso veloce ai documenti, manoscritti, libri per via elettronica.

Ovviamente non mancano le critiche: le la facilità di ottenere informazioni si è oggi potenziata rispetto a 30 anni fa, la capacità di osservazione dell’uomo rimane nel tempo più o meno la medesima. Es: se anziché accedere a cento libri su Dante, ne posso vedere diecimila, sicuramente si hanno più informazioni sul poeta fiorentino e la possibilità di controllare più particolari, ma la nostra capacità di leggere e comprendere la Divina Commedia non risulta certo moltiplicata per cento. Francesco De Sanctis, maggior critico dell’ottocento in campo europeo possedeva certo un numero di informazioni molto più basso di quello di vari eruditi di oggi, e malgrado questo le sue pagine esprimono spesso una forza di penetrazione critica superiore.

Passi da giganti ha fatto l’informatica in ausilio all’analisi dei testi letterari. E’ questo il caso dell’analisi computazionale: il critico di stile ha sempre osservato che un tale autore usa maggiormente un certo tipo di aggettivazione, che evita alcuni generi di costruzione, che nelle sue opere è massicciamente presente un particolare lessico. Un testo memorizzato nella macchina, può essere impiegato con facilità interrogato per sapere, per esempio, quante volte vi compare una certa parola, quali sono i modi più semplici e tipici di iniziare una frase, quale sia la percentuale di frasi brevi e quale invece quella di costruzioni complesse e via dicendo.

Importantissimo, Suitner, è illuminante in questo senso: “il contributo delle macchine può essere tanto più forte quanto meno debba entrare in campo l’elemento dell’interpretazione e quanto più sia possibile limitarsi all’analisi quantitativa.

Ad esempio gli effetti che produce una poesia, o una prosa, si colgono alla lettura, e non appaiono ricostruibili attraverso un’analisi atomica dei pezzetti che lo compongono.

E informatica e filologia, a che punto siamo?

Diciamo che i maggiori ostacoli all’uso degli elaboratori elettronici in filologia possono ricondursi ad alcuni grandi problemi:

–         in primo luogo le scritture manuali, antiche e moderne, nelle loro svariate e complicate varietà grafiche, non possono essere agevolmente trascritte dalle macchine in modo automatico;

–         queste operazioni risultano essere faticose, tanto da annullare in buona pate il vantaggio dell’impiego dell’informatica

–         le operazioni mentali che si richiedono al filologo nel suo lavoro di restauro non sono in gran parte riconducibili alla logica binaria che governa la macchina.

Risultati molto superiori si possono ovviamente ottenere e sempre più si otterranno nell’esame testuale delle opere a stampa, che presenta evidentemente problemi di gran lunga inferiori.

Attraverso strumenti informatici è però possibile indagare e analizzare i manoscritti in modo molto più vario e penetrante, effettuando fra l’altro confronti, passi di scritture e calligrafie, migliorando opportunamente la leggibilità del materiale del testo, e cosi via. L’elettronica può consentire una presentazione esterna migliore dei vari stadi di gestione di un’opera, delle sue stesure manoscritte, del suo processo correttorio e delle sue versioni a stampa. Questo è un campo nel quale si otterranno risultati prevedibilmente soddisfacenti e notevoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. 10.                     Il problema del giudizio

Fra le domande più ovvie che ci studia un testo letterario finisce per porsi, vi sono per esempio quelle riguardano la natura del testo.

Innanzitutto, che cos’è la letteratura? Non è facile comprendere e tracciarne i confini ne tanto meno delineare l’oggetto: capita che opere non scritte entrano nella storia della letteratura, mentre altre scritte che sembrano avere tutti i requisiti ne rimangono fuori. Qui, entra in gioco, quindi, il concetto di critico letterario, e di ciò che egli accetta o non accetta. Ad esempio nell’ultima parte del novecento  si è diffusa una certa tendenza a considerare artisti anche lavori di carattere critico o scientifico, quando questi apparissero in prosa particolarmente notevoli o incisiv.

Effettivamente c’è un problema di “critica letteraria”: la critica letteraria può e deve occuparsi di tutto, ma il suo statuto rimane per tanti aspetti impreciso ed oggetto da sempre di grandi discussioni, verosimilmente eterne. Una di questa riguarda per esempio la sua “natura” scientifica, oppure meno. In verità a questa caratteristica tengono molti studiosi di estrazione accademica, coloro che lavorano nel campo delle università e nei centri di ricerca, e poco nulla gli altri.

Il problema è di sapere esattamente cosa s’intende per scientifico. In generale, a parte alcune posizioni estreme, si ammette che nella critica letteraria si possono avere analisi più o meno fondate, giudizi giusti e sbagliati. Si possono avere opinioni e dimostrazioni sulle quali è possibile invocare il motivato consenso degli studiosi e dei lettori comuni.

Nella grande famiglia della critica letteraria rientrano alcune specificità tecniche come la critica del testo in senso stretto, lo studio dei sistemi retorici, metrici e via discorrendo. In linguistica un mutamento fonetico può essere descritto attraverso una legge scientifica simile nella sua precisione a quelle leggi che si formulano in matematica e/o in fisica.

Un elemento fra quelli che rendono piuttosto precario il parallelo fra critica e scienza è dato dal carattere diverso che vi ha l’idea del progresso. In arte e in letteratura, lo sappiamo, l’idea di progresso è del tutto contrastata, ciò non accade in genere nelle scienze e nella tecnica.

A mio avviso Suitner fa un esempio illuminante che vale la pena trascrivere: “ il trascorrere del tempo  e l’approfondimento degli studi fanno si su un autore sia possibile avere notizie e rilievi di cui prima non si disponeva. Diviene più agevole ricostruire il quadro della sua vita e anche le caratteristiche delle sue opere. In qualche caso è perfino possibile disporre dei suoi scritti che prima non possedevano. Tutto ciò è progresso della conoscenza. Il progresso delle conoscenze è molto spesso di natura prevalentemente erudita o tecnica, e questo influenza fino ad un certo punto la critica dell’opera letteraria, che si fonda in gran parte sul rapporto diretto del critico con l’opera, rapporto che dà i più alti risultati quanto più alta è la personalità del critico. Accade così, e in verità può essere un po’ sconfortante per noi,  che alcuni aggiornatissimi critici contemporanei, perfettamente informati, non riescano a pareggiare la forza di penetrazione che hanno le pagine di grandi studiosi del passato, magari addirittura dei secoli scorsi. Per tutti questi motivi sembra difficile poter parlare di progresso per la critica, nel senso in cui se ne parla per altri fenomeni, senza introdurre questo concetto delle chiare limitazioni.”

I migliori critici non sembrano essere i più eruditi, i più informati, i più tecnici, quanto piuttosto coloro che appaiono in grado di avere una buona comprensione anche della vita e dell’umanità in genere, cioè il nocciolo della letteratura. Il buon critico – e ciò spesso è stato rilevato – deve tendere ad essere un uomo completo, e non lo specialista di una particolare religione delle virgole e degli inchiostri.

In Italia, citando un grande critico del novecento, Benedetto Croce con la sua teoria estetica in opposizione alle tendenze positivistiche, disquisisce sull’autonomia della creazione artistica, e rivendica nello studio di un’opera letteraria il primato della dimensione estetica su quella filologico-documentaria.

Croce ritiene che il giudizio sulle opere, il riconoscimento dell’artisticità o meno di esse, sia il momento culminante dell’attività critica, e questa in se stessa appare una convinzione ragionevole. Croce non contesta la necessità delle indagini documentarie e in qualche modo esterne al letterato, ma non accetta che siano collocate al posto più importante o che possano essere ritenute sostitutive della critica propriamente detta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. 11.                     Luoghi e modi della critica.

L’ultimo capitolo del libro è dedicato ai luoghi e i modi della critica.

Innanzitutto va detto che il primo critico letterario è in ogni caso il lettore. C’è una sorta di analogia tra il lavoro del critico e le operazioni del lettore, infatti anche lo studioso professionista, passa attraverso la fase della prima lettura, della prima impressione e delle prime descrizioni. Sono passi che anche il lettore naturale compie.

All’inizio del novecento si iniziò a parlare di critico “militante” e critico “accademico”, andando a delineare con la prima dicitura il lavoro che il critico esercitava sui grandi mezzi di comunicazione, mentre con il secondo s’intendeva la critica che si esercitava prevalentemente nelle università e nei centri studio, rivolta in massima parte al passato, alla storia letteraria, impiegando mezzi di ricerca più sofisticati e complessi.

La prima aveva un rapporto più immediato e diretto con il pubblico colto, quello che si tiene aggiornato sulle novità culturali e a suo modo influisce su di esse, la seconda si rivolgeva a una cerchia più limitata godendo per altro di un elevato prestigio.

La critica esercitata sui grandi mezzi di comunicazione vede molto spesso in primo piano direttamente gli scrittori. Talvolta succede che gli scrittori mostrino fastidio nei confronti dei critici propriamente detti, allo stesso modo dei registri teatrali, cinematografici o pittori. Ad esempio: scrittori come Eliot, Mann, Valery, Kundera, e anche tanti altri sono considerati fra i massimi critici del loro tempo nelle proprie aree culturali di appartenenza. Anche negli altri paesi i maggiori scrittori sono quasi sempre critici e saggisti di assoluto rilievo, e si leggono in generale con più piacere dei critici professionali, almeno su determinate materie, per lo più attinenti alla letteratura contemporanea.

I grandi scrittori sono sempre portatori di una riflessione personale e profonda sulla letteratura, e alla luce di ciò che alcuni grandi scrittori vanno tenuti sempre in massima considerazione dal punto di vista critico.

Per ciò che concerne la critica specialistica, storico-filologica, essa si esercita prevalentemente in sue sedi proprie, che sono le riviste specializzate, i congressi scientifici, le collane e gli studi storici, tecnici e via via discorrendo. In tutte le nazioni, con diversità a seconda delle tradizioni locali, esiste una sorta di sistema organizzato per questo tipo di studi e di ricerche. E’ un sistema che è in generale imperniato sulle università e sulle accademie o altro tipo di istituzioni o centri di ricerca. Non è facile per esempio conciliare l’attività di studio ad alto livello con le odierne esigenze di massa.

Alla fine dell’ottocento gli studiosi professionali di una letteratura nazionale si contavano in decine di persone; è evidente che tutto quel che facevano poteva essere vagliato, apprezzato e criticato dall’intera comunità degli studiosi. Lo strumento principe di questa valutazione era proprio la rivista specializzata che in questo modo seguiva e controllava lo sviluppo di un’intera disciplina. Oggi le decine di studiosi sono divenute centinaia e migliaia; nessun studioso può tenersi informato di quel fanno tutti i propri colleghi; lo studioso di valore incontra difficoltà a farsi notare in quanto l’attenzione della comunità scientifica è alterna, precaria, soggetta a circostanze casuali ed esterne, nonché non sempre trasparenti.