Analisi, commento e parafrasi di “Trieste” di Umberto Saba (da Il Canzoniere)

Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva

Breve commento

Dice il poeta in Storia e cronistoria del “Canzoniere”:“Trieste è la prima poesia di Saba che testimoni la sua volontà precisa di cantare Trieste proprio in quanto Trieste, e non solo in quanto città natale. E’ accaduto per Trieste come per Lina. Nel libro…. La città e la donna assumono…. I loro inconfondibili aspetti; e sono amate appunto per quello che hanno di proprio e di inconfondibile”. Ma a ben vedere, la città diviene spontaneo simbolo della vita dolce e dolorosa, della sua continua conflittualità. Lo suggeriscono l’amore per la città “popolosa” e, insieme, il bisogno di ritrovarvi un cantuccio solitario per la propria vita penosa e schiva, o aria natia definita come strana e tormentosa.