Il dialetto campano: peculiarità linguistiche e stilistiche

Le caratteristiche tipiche dei dialetti campani si incontrano anche negli altri dialetti meridionali. Ma solo in Campania ricorrono alcuni fenomeni:
– Dittongo metafonetico
– Chiusura metafonetica
– Femminile plurale con rafforzamento sintattico
– Vitalità del genere neutro
– Variazione consonantica
– Suono indistinto finale

Con il nome di metafonesi si indica una particolare evoluzione delle vocali toniche. Le vocali che sono alla base del dialetto campano sono sette: i è e’ a ò o’ u
Per effetto della metafonesi, quando nella sillaba successiva o in quella finale si trovano –I oppure –U etimologica, le vocali aperte toniche –è- , -ò- dittongano in –ie- e in –uo-. Si parla in questo caso di dittongazione metafonetica.
Gli esempi sono presto fatti: mantiello, guagliunciello, paisiello, testiamiento , castiello
Il dittongo –uo- di origine metafonetica si incontra per esempio in queste parole: attuorno, buono, chiuovo, scuorno, uocchio, uosso, vruoccolo.

Quando invece la metafonesi colpisce le vocali chiuse é, o’, sempre per effetto di una –I oppure di una –U etimologica, si produce la chiusura metafonetica: la –e’- chiusa si chiude ulteriormente in –i-, mentre la –o’- chiusa si chiude ulteriormente in –u-.
Esempi di parole in cui incontriamo una chiusura -è->i- di origine metafonetica: acito, appiso, beneditto, capille, chillo, cìcere, pisce, sicco.

Incontriamo invece la chiusura o’>u, per esempio in queste altre parole: capitune, cetrulo, culure, cunto, curiuso, gravune, guaglione, munno, veziuso, zelluso.
Notiamo comunque che gli esiti metafonetici si realizzano quasi esclusivamente in nome e aggettivi di genere maschile.
Inoltre la funzione del dittongo e la chiusura di origine metafonetica permettono dunque di distinguere i maschili dai femminili e talvolta, il singolare dal plurale.
Le chiusure metafonetiche e i dittonghi metafonetici assumono una funzione morfologica anche nelle voci verbali. Nella flessione di un verbo, infatti, la vocale tonica si adegua per metafonia alla vocale della desinenza: porto [io porto] scéngo [io scendo] corro [io corro]; porta[egli porta] scénne [egli scende] corre [egli corre].
Tuttavia nella seconda persona che ha desinenza –i, si determinano le condizioni metafonetiche, per cui la seconda persona si distingue dalle altre: puorti [tu porti] scinni [tu scendi] curri[tu corri].

RAFFORZAMENTO SINTATTICO

Parliamo qui della pronuncia rafforzata delle consonanti iniziali. Questo fenomeno assume nei dialetti campani un’importante funziona morfologica, poiché si presenta nei femminili plurali e nei nomi di genere neutro.
Il rafforzamento sintattico non è noto ai dialetti settentrionali, ma accomuna i dialetti centri e quelli meridionali. Nei dialetti campani producono rafforzamento le seguenti forme:
– le congiunzioni e, né
– la negazione nu (non);
– le preposizioni a, cu, pe;
– gli indefiniti ogne, quacche;
– il che interrogativo
– accussì
– cchiù (più)
– tre
– l’articolo neutro ‘o
– il pronome neutro ‘o
– i pronomi maschili e femminili plurali: ‘e chiamm tu (li chiami tu)
– le forme verbali so’ (prima e sesta dell’indicativo di “essere”), si (seconda persona)
– la prima persona del verbo stare: sto (io sto), per cui si dice sto pparlanno

VARIAZIONE CONSONANTICA

Nel caso di alcuni consonanti la pronuncia in posizione forte è radicalmente diversa da quella in posizione debole. Questo fenomeno, noto come variazione consonantica. Per esempio se diciamo “nu cavallo janco” l’iniziale dell’aggettivo janco, che in questo caso è in posizione debole, è la semivocale j-. Se la stessa iniziale si trova in posizione forte, cioè in un contesto fonetico che provoca rafforzamento sintattico, viene invece pronunciata come –g- intensa: perciò diciamo “ ‘o cavallo è gghianco”.
La variazione consonantica colpisce anche altri fonemi. Il fonema dentale sonoro /d/ è pronunciato in posizione debole come [r], mentre in posizione forte è reso come [dd]. Perciò abbiamo in posizione debole caré; ‘e rient ; a rongo ; mentre in posizione forte tre ddiente; ‘e ddongo; nun ‘o ddicite;
il fonema /b/, in posizione debole è realizzato come [v]: “ ‘a vorza” ‘a vucchella”. In posizione forte invece si presenta come suono bilabile intenso [bb]: tre bborze; ‘e bbocche.

Il rafforzamento sintattico inoltre assume una funzione grammaticale, perché permette di distinguere i femminili plurali.
Nei femminili plurali la consonante iniziale è rafforzata non solo quando precede l’articolo, ma anche quando le forme sono precedute da aggettivi qualificativi o dimostrativi: “chelli ttre cammere” chelli ddoie prete” “chelli ppaure”.
Il rafforzamento sintattico permette perciò di trasferire sull’articolo e sulla parte iniziale delle parole quelle informazione morfologica che dovrebbe essere veicolata dalla desinenza e dalle vocali finali.

Il NEUTRO

In Campania ad esclusione di una fascia settentrionale della regione, oltre ai nomi di genere maschile e a quelli di genere femminile esistono i nomi di genere neutro. Alcuni nomi che nei dialetti sono neutri, sono o possono essere neutri anche in latino (latte, sale, ferro); in molti casi però, i nomi neutri del dialetto rappresentano delle innovazioni rispetto al latino e spesso sono neologismi più o meno recenti.
Sono neutri i nomi che designano materiali nel loro complesso : ‘o ffierro; i nomi che si riferiscono a generi alimentari o bevande sempre considerati come insieme o’ ccafe ; ‘o ggrano; i nomi dei colori ‘o rrusso; gli infiniti sostantivi ‘o ppenza; i nomi astratti che si riferiscono a categorie generali ‘o mmale, ‘o bbene.
Come notiamo i nomi neutri preceduti dall’articolo determinativo si presentano con la consonante iniziale rafforzata. Ciò accade secondo quanto afferma De Blasi (2006 p.36) “perché l’articolo determinativo che precede i nomi neutri anche se si presenta in apparenza identifico all’articolo maschile ‘o avrebbe in realtà un’altra origine etimologica, in quanto deriva dal latino ILLUD (mentre l’articolo maschile deriva da ILLUM). Alla motivazione di tipo fonetico e sintattico, si aggiunge una motivazione di tipo semantico, nel senso che sono trattati come etichette tutti quei nomi che vengono riconosciuti come “etichette” di un genere visto nel suo insieme”.
Tuttavia bisogna prestare attenzione nel riconoscere i nomi neutri all’interno dei contesti in cui sono pronunciati. Proviamo a fare ancora qualche esempio: ‘o ffuco (il fuoco) o’ ggesso (il gesso) ‘o llignamme (il legname) ‘o ssale(il sale) ‘o ttuosseco. All’interno di una frase l’appartenenza al genere neutro è svelata non solo dall’articolo, ma anche da un pronome personale ‘o, che essendo per l’appunto neutro e non maschile, provoca il rafforzamento della consonante che segue.
Un pronome neutro che provoca rafforzamento della consonante dimostra che anche “chilo” può essere trattato come neutro; molto probabilmente ciò che accade perché chilo è usato in combinazioni con nomi di generi alimentari come in “ che bellu chilo ‘e carne. Chesto ‘o ffacimmo a brodo”. Quest’ultimo esempio permette di riconoscere anche un’altra particolarità: i pronomi e gli aggettivi dimostrativi con valore di neutro, nei dialetti campani, non presentano esito metafonetico.
Altra caratteristica dell’area campana, in particolare di quella napoletana è l’indebolimento del suono finale atono, che viene articolato come suono centrale indistinto ё. Tale pronuncia indebolita si combina dunque, in una sorta di sostegno reciproco, con la funzione morfologica degli esiti metafonetici e del rafforzamento sintattico.
Ulteriori esiti fonetici frequenti sono ad esempio l’evoluzione dei nessi di consonante+L: in Campania da PLANTA si ha chianta , da CLAVE si ha chiave ; da BL- si ha la semivocale i- per cui BLANCU > janco; da FL- inoltre si ha la palatale affricativa [∫], per cui sciore da FLOREM. Da segnalare sono poi la frequente sonorizzazione dopo nasale: “cambagna” (campagna) ; “mondagna” (montagna); la pronuncia fricativa della s- prima della labiale e velare (∫battere; ∫pesso ; ∫frantummà), la conservazione della semivocale j- (iocà, iuorno, iettà) che in italiano diventa affricata palatale.
In generale questi sono i fenomeni più rilevanti del dialetto campano.